Capitolo [part not set] di 39 del racconto Spy cam

di Claudia Effe

Questo contenuto è riservato a un pubblico adulto. Proseguendo nella lettura dichiari di avere almeno 18 anni.

“La destinazione è stata raggiunta”, comunicò freddamente il navigatore, mentre Martina avanzava con l’auto lungo un viale alberato e fermava il mezzo in un cortile assolato prospiciente un vecchio casolare.

La ragazza spense il motore e guardò Loredana che, accanto a lei, sedeva rigida.

“Ragazze, ormai siamo qui”, disse rivolta anche ad Alina che, sul sedile posteriore, aveva passato tutto il viaggio messaggiando.

Porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto; Loredana via appoggiò sopra la sua e anche la più giovane le imitò.

“Lo facciamo per noi. Siamo unite e siamo forti, e domani sera andremo ad ubriacarci assieme!”, proclamò Martina con una giovialità un po’ forzata.

Aprì la portiera e scese, imitata dalle altre.

Martina era vestita consona alla stagione: un paio di sandali, degli shorts e un top rosa.

Anche Alina era leggera, anche lei in shorts – ma con delle All Star borchiate ai piedi – e maglietta dei Rolling Stones; Loredana, invece, era più formale in pantaloni lunghi bianchi e camicetta rossa.

La porta si aprì quasi automaticamente quando si avvicinarono.

Alberto, pur non essendo vestito in maniera formale come la prima volta che si erano incontrati, era comunque distinto in pantaloni neri e camicia impeccabilmente bianca.

“Ragazze, sono veramente contento di vedervi!”, comunicò sorridente.

Diede loro la mano e le fece entrare in un ampio salone.

Luca era seduto in poltrona e stava armeggiando con un tablet.

“Non sapevo ci saresti stato anche tu”, gli disse Loredana.

Luca annuì, quindi tornò a consultare l’apparecchio elettronico.

Presero posto sulle poltrone, visibilmente nervose.

“Prima di iniziare, posso offrirvi qualcosa? Un caffè, una bibita?”, propose Alberto.

Rifiutarono tutte.

L’uomo guardò l’orologio, quindi si sfregò le mani.

“Bene, possiamo quindi cominciare a calarci nella parte, anche perché mancano solo più dieci minuti. Come siamo messi con lo streaming?”.

“Abbiamo venduto circa ottocentocinquanta ticket – rispose Luca – ma stanno continuando ad arrivare richieste. Credo ci assesteremo attorno ai millecinquecento”.

Loredana si domandò quale fosse il costo del singolo ticket, ma non chiese nulla.

Alberto annuì, quindi tornò a rivolgersi alle ragazze.

“Cerchiamo di creare il giusto contesto. Questo, alla resa dei conti, è un gioco di ruolo, ed è bene chiarire chi siamo. Voi dovrete comportarvi e ragionare come se foste nostre prigioniere; noi siamo i cattivi e vi vogliamo punire. Chiaro?”.

Annuirono tutte.

“Come logico nel contesto, voi potrete urlare, dimenarvi e lamentarvi; questo, ve lo dico subito, non ci condizionerà minimamente. C’è una sola condizione in cui noi ci fermeremo, e voglio che mi ascoltiate con attenzione perché dopo non ci sarà più la possibilità”.

Fece una pausa, che non fece altro che accrescere la tensione delle ragazze.

“Se a un certo punto sentirete che non ce la farete più, potrete fermare tutto dicendo il vostro nome. Semplicemente così. Direte il vostro nome e noi ci fermeremo subito. Però, così come è scritto nel contratto che avete firmato, se il gioco si interromperà prima del previsto voi sarete liberate ma non percepirete alcun compenso. Questo è chiaro, vero?”.

Le ragazze annuirono nuovamente. Loredana sembrava preoccupata e stringeva la mano a sua sorella, anche se sembrava essere lei quella ad aver bisogno di conforto.

Alberto aprì un cassetto ed estrasse tre mazzette di banconote da cinquanta euro tenute assieme da una fascetta di carta bianca e le posò sul tavolino davanti a loro.

“Qui c’è il vostro compenso. Domani, a prova finita, questi soldi saranno vostri”.

Gli sguardi delle tre ragazze si posarono sul denaro, e ognuna di loro si chiese quanto avrebbero dovuto soffrire per guadagnarselo.

Alberto guardò nuovamente l’orologio. Mancavano tre minuti.

“Signore, si va in scena! Seguitemi, prego”.

Aprì una porta e le precedette lungo un corridoio buio.

***

Martina seguì Alberto, il quale a sua volta camminava verso una porta chiusa sotto la quale trapelava un filo di luce.

La aprì e imboccò una rampa di scale che portò il gruppo in quelle che erano le cantina del casolare.

Entrarono in un salone molto ampio e subito Martina venne assalita dall’odore di umido e di muffa.

Entrarono tutti in silenzio; la tensione era palpabile.

Loredana sentiva il cuore battere fortissimo nel suo petto e istintivamente cercò la mano della sorella, che sembrava invece molto più tranquilla.

Solo quando furono tutti nel salone le tre ragazze si accorsero di non essere sole.

Alla loro sinistra, in piedi, c’erano due ragazzi.

Entrambi indossavano solo un paio di boxer aderenti e un paio di scarpe da ginnastica del medesimo colore.

Quello più vicino a loro era Lorenzo, il nipote di Agnello, ed era vestito in rosso; accanto a lui, invece, c’era un ragazzo di colore che non avevano mai visto, vestito in bianco.

C’era anche una donna: si trattava di Ramona, la mamma quarantenne che si era prestata al solletico dopo Loredana.

Lei indossava un paio di pantaloni di pelle e un reggiseno del medesimo materiale.

“Hey, ma lui…”, obiettò Loredana non appena vide Lorenzo.

Alberto la zittì alzando la mano: “Il contratto dice chiaramente che posso invitare chi voglio. Inoltre la sua presenza vi servirà anche a negoziare uno sconto sul vostro debito. Ammesso che venga soddisfatto a sufficienza”.

Loredana si zittì.

Catene e manette pendevano dai muri e dal soffitto; un grande tavolo in legno troneggiava in mezzo alla sala, e le strisce di cuoio inchiodate ai quattro angoli suggerivano quale sarebbe stato il suo utilizzo.

Ovunque sembravano esserci ganci e lacci.

Luca in silenzio imboccò una porta sulla destra e sparì per qualche minuto.

Alberto guardò nuovamente l’orologio, quindi porse la mano a Martina.

La ragazza la prese, mentre il cuore le impazziva nel petto.

Alberto la portò sotto ad una catena che, ancorata al soffitto, al capo opposto terminava con un paio di ganci.

Alberto le prese i polsi e attorno a ciascuno serrò un bracciale di cuoio, ad ognuno dei quali era fissato un anello di acciaio dal lato opposto alla fibbia.

“Alza le braccia”, le ordinò Alberto.

Martina eseguì l’ordine e l’uomo fissò gli anelli ai ganci alle estremità delle catene.

La ragazza guardò verso Loredana, che le mostrò il pugno chiuso, come ad invitarla a tenere duro.

Alberto si piegò sulle ginocchia e slacciò i sandali di Martina, quindi glieli sfilò.

Il pavimento era freddo.

Martina notò diverse telecamere fissate alle pareti, una delle quali era puntata proprio verso di lei.

Alberto azionò una carrucola elettrica alle spalle di Martina e le catene vennero avvolte per qualche centimetro, quanto bastava a far sì che Martina toccasse terra solo più con la punta dei piedi.

“Finalmente tra le mie mani”, disse Alberto rimettendosi in posizione eretta.

Sollevò il top di Martina e le fece scorrere le mani sulla pelle della pancia.

“Sei sempre stata arrapante”, proseguì, sfilandole l’indumento e bloccandolo oltre i polsi di lei, legandolo alla catena.

“Ci conosciamo?”, chiese Martina.

L’uomo annuì in silenzio.

Slacciò il bottone degli shorts e li fece scorrere lungo le gambe, fino a sfilarglieli.

“Abbiamo una conoscenza in comune – disse – E ci siamo già incontrati”.

Martina cercò di individuare il volto dell’uomo tra i tanti che conosceva.

“Sara! – esclamò – Tu sei il marito di Sara!”.

L’uomo annuì in silenzio, mentre prendeva un paio di forbici da uno scaffale.

Inserì la lama sotto alla spallina destra del reggiseno di Martina e la recise con un colpo secco.

“E’ stato bello scopare con mia moglie?”, le chiese.

“E’ andata così, non ha significato nulla”, gli rispose agitata.

Alberto le tagliò anche l’altra spallina.

“Non temere, tu non sei qui per quel motivo. Avevo voglia di scoparti già da prima che tu ti facessi mia moglie. Diciamo che ora ho un buon alibi per punirti”.

Fece come per abbracciarla e le slacciò la chiusura del reggiseno.

L’indumento intimo cadde a terra, scoprendole il seno.

Alberto le accarezzò il torso con le mani, quindi infilò i pollici nell’elastico del perizoma.

“Una bella ragazza come te è un peccato che sia vestita, anche se solo parzialmente”, disse.

Le abbassò anche l’ultimo indumento e glielo sfilò dai piedi.

Ora era completamente nuda.

Alberto si avvicinò ad un mobile e prelevò da un cassetto una sbarra metallica lunga circa un metro; ciascuna delle estremità terminava con un laccio.

Si inginocchiò davanti a Martina e le fissò le estremità della sbarra alle caviglie, facendo sì che la ragazza fosse costretta a rimanere a gambe divaricate.

Alberto fece un passo avanti, come ad ammirare un’opera d’arte, quindi si avvicinò nuovamente al mobile e frugò nuovamente nel cassetto.

Martina sentiva il cuore battere fortissimo.

Era completamente immobilizzata, Alberto avrebbe potuto farle qualunque cosa.

L’uomo si avvicinò con quello che aveva prelevato.

Era un frustino, di quelli per i cavalli.

Lo puntò verso Martina e le toccò un seno con la punta.

Era ricoperto di pelle marrone, lucida.

La ragazza sentì un brivido.

Alberto le girò attorno e si fermò alle sue spalle.

“Tu sei una puttana, Martina, e le puttane vanno punite!”, disse.

Distese il braccio e il frustino si abbattè sulla schiena di Martina.

La ragazza si lasciò sfuggire un gemito.

Un altro colpo, e un altro lamento.

Loredana, a qualche passo di distanza, seguiva con apprensione la sofferenza dell’amica.

Se quello era l’inizio, cosa sarebbe successo nel proseguimento?

Cosa sarebbe toccato a lei?

Martina aveva gli occhi chiusi. Le prime sferzate erano state dolorose, ma ora facevano meno male.

Si chiese se si stesse abituando o se Alberto stesse imprimendo meno forza.

Forse era vera la prima.

Un altro colpo le sferzò la schiena, provocandole comunque un sospiro.

Cosa aveva in mente Alberto? Aveva intenzione di provocarle dolore per una giornata intera?

Dubitava di poter resistere.

Sentì ancora un colpo, questa volta sulle natiche, quindi udì i passi di Alberto.

L’uomo si pose nuovamente davanti a lei.

“Stai soffrendo, zoccola?”, chiese.

Martina annuì, sperando che questo lo avrebbe indotto a smettere.

Alberto le fece passare il frustino tra le gambe, sfiorandole le grandi labbra.

“Peccato – commentò – perché io non ho ancora finito”.

Sollevò ancora il frustino, e questa volta lo abbattè sulla pancia di Martina.

La zona era più sensibile e la ragazza urlò.

“Fa male, eh?”, chiese.

Martina annuì, mentre un nuovo colpo le incendiava i seni.

Questa volta gridò.

Alberto sogghignò, mentre le elargiva ancora un’altra frustata, questa volta sull’inguine.

“Basta, ti prego!”, urlò Martina.

Un altro colpo, ancora sui seni.

La ragazza provò a divincolarsi, ma la bardatura non le permetteva di sottrarsi a supplizio.

Il corpo le bruciava come fosse cosparso di brace.

Un colpo sulla pancia.

“Ti prego, fammi qualunque cosa, scopami se vuoi, ma basta!”, urlò ancora, con gli occhi chiusi.

Alberto si fermò e la guardò sogghignando.

“Proposta interessante la tua – commentò – Anche se, come sai, io ti potrei scopare comunque, anche se tu non volessi”.

Martina non rispose, ringraziandolo mentalmente di essersi fermato.

“Però sarò cortese con te, e accetterò la tua proposta”, disse.

Posò il frustino sul mobile e si slacciò la cintura dei pantaloni.

***

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