Capitolo [part not set] di 39 del racconto Spy cam

di Claudia Effe

Capitolo 1

Luca alzò lo sguardo per inquadrare la ragazza che era appena entrata nel suo negozio.

Pur non essendo alta aveva comunque una figura slanciata; indossava pantaloni banchi aderenti e una camicetta che lasciava intuire un bel seno, probabilmente una terza.

“Carina”, pensò, e si avvicinò al bancone.

“Posso aiutarla?”, chiese.

La ragazza spostò lo sguardo su di lui, ma sembrava titubante.

“Devo cambiare la serratura di casa”, disse infine.

Luca la osservò meglio: capelli biondi, occhi verdi….

“Altro che carina…decisamente figa”, pensò di nuovo.

“Certo – rispose – Ne abbiamo di diversi tipi. Ha qualche preferenza?”.

La ragazza scosse il capo.

“No, non ho idea, va bene una qualunque. Più che altro ho bisogno che qualcuno me la venga a montare, perché da sola non sono capace. Lei può farlo?”.

Luca avrebbe detto di sì a qualunque richiesta di quella ragazza; in quel caso, montare la serratura era comunque uno dei suoi servizi.

“Nessun problema. Quando vuole che passi?”.

La sua mente venne attraversata da un’immagine nella quale lei gli apriva la porta con solo un asciugamano addosso.

Lei guardò l’ora.

“Se riusciamo a sbrigarci entro mezz’ora, anche adesso: abito giusto qui dietro. Se possibile, ovviamente”.

Luca annuì.

“Vado a prendere la serratura, gli attrezzi e sono da lei”.

Si spostò rapidamente sul retro e selezionò dallo scaffale una piccola scatola contraddistinta con la lettera D, quindi raccolse la borsa degli attrezzi.

“Vado a montare una serratura”, disse sbrigativamente a Mario, il suo dipendente, e tornò da lei.

“La seguo”, disse.

Uscirono dal negozio, uno dietro l’altra.

La ragazza non disse nulla durante il tragitto, che per fortuna fu breve.

Entrarono in un condominio a un paio di isolati di distanza, quindi la ragazza lo guidò fino ad un appartamento al terzo piano.

“Ecco”, disse semplicemente una volta che ebbe aperto la porta.

Luca studiò la serratura con un’occhiata: era un modello molto semplice, ci avrebbe impiegato solo qualche minuto.

Accanto a loro, nell’ingresso, c’era una libreria, e Luca non poté non notare come mancassero parecchi libri.

Qualcuno se ne era appena andato; ecco il motivo di tanta fretta.

La ragazza continuava a guardare l’ora.

“Serve ancora molto tempo? Non voglio farle fretta, ma ho un colloquio di lavoro tra poco”.

Luca scosse la testa e serrò una vite.

“Ho finito. Serve altro?”.

Lei sembrò esitare, poi indicò fuori.

“Già che sa usare il cacciavite, mi può aprire il campanello e togliere la targhetta?”.

Luca non disse nulla, ma smontò rapidamente la scatola di plastica ed estrasse la targhetta dorata.

Marco e Martina non esistevano più, almeno su quel pianerottolo.

“Ecco qui”, disse porgendogliela.

“La tenga pure, non so cosa farmene”, disse lei con una punta di stizza.

Luca si infilò la targhetta in tasca, quindi si fece pagare la serratura, omaggiandole la manodopera.

“Grazie mille, è stato gentilissimo! – disse lei porgendogli la mano – Le offrirei un caffè, ma devo scappare. Magari nei prossimi giorni passo in negozio da lei e lo prendiamo assieme”.

Si capiva anche solo dal tono di voce che non sarebbe mai accaduto.

Luca alzò le spalle e la ringraziò.

Si sarebbero rivisti, ma non come pensava lei.

***

Luca tornò in negozio, andò subito nel retro e aprì un cassetto.

La serratura che aveva montato a Martina era quella contrassegnato con la lettera D; prese una chiave il cui portachiavi era etichettato con la medesima lettera.

Guardò l’orologio: dieci minuti e la ragazza sarebbe uscita di casa.

Aprì un’anta e prelevò una scatola di plastica, quindi mise tutto in una borsa con la tracolla.

“Esco di nuovo”, disse a Mario.

Uscì in strada, si accese una sigaretta e puntò verso casa di Martina.

Camminò lentamente, fino a quando – mentre lui si trovava ancora ad un centinaio di metri – non la vide uscire dal palazzo, montare in auto e partire velocemente.

Si nascose dietro ad un albero per non essere visto, ma la ragazza era concentrata sulla guida e non l’avrebbe notato comunque.

Terminò la sigaretta con calma: era meglio aspettare ancora qualche minuto, giusto per scongiurare un eventuale ritorno nel caso in cui avesse dimenticato qualcosa.

La spense sotto alla suola della scarpa e penetrò nel condominio, puntando subito al terzo piano.

Suonò al campanello – ormai privo di indicazioni su chi vi abitasse – ma nessuno rispose.

Prelevò la chiave dalla tasca e, con attenzione, la infilò nella serratura e la girò.

Scorreva perfettamente.

Penetrò nell’appartamento silenziosamente e con cautela si chiuse la porta alle spalle.

“C’è nessuno?”, chiese, ben consapevole che, se qualcuno avesse mai risposto, sarebbe stato difficile per lui giustificare la sua presenza.

Non sapeva dove Martina avesse il colloquio e per quanto sarebbe durato: doveva sbrigarsi.

Si spostò in camera da letto: come sperava, il letto matrimoniale era sormontato da un lampadario.

Sul soffitto, un alone di vernice più chiara circondava il punto in cui il lampadario era agganciato al soffitto, segno che quello precedente era stato recentemente portato via, presumibilmente da Marco.

Si sfilò le scarpe e montò sul materasso, quindi prelevò dalla borsa la scatola di plastica.

Ne estrasse un oggetto grande come il cappuccio di una penna e con attenzione lo assicurò ad uno dei bracci del lampadario, quindi scese dal letto e guardò verso l’alto.

L’oggetto appena posizionato era pressoché invisibile; del resto, la gente quasi mai guarda verso il lampadario.

Si spostò verso il bagno e installò un oggetto analogo sopra all’impianto luci dello specchio.

Con le luci accese sarebbe stato praticamente invisibile; in aggiunta, Martina non era molto alta e l’apparecchio era ben al di sopra dei suoi occhi.

Doveva solo sperare che funzionasse, perché non sapeva se avrebbe avuto altre possibilità.

***

Martina sentì il telefono squillare: era un numero sconosciuto.

“Buongiorno – disse una voce femminile – Sono la segretaria del dottor Mazzano, per l’appuntamento delle dieci”.

“Buongiorno”, rispose Martina, provando subito una sensazione sgradevole.

“Volevo solo dirle che il dottore è dovuto uscire per un imprevisto e quindi non potrà rispettare l’appuntamento. Mi spiace”.

Martina accostò la macchina, sentendosi sconfortata.

“Starà via molto? Potrei aspettare…”, disse, rendendosi subito conto di quanto suonasse disperato quel tentativo.

“No, purtroppo starà via tutto il giorno – rispose la donna, con una nota di falso dispiacere nella voce. – La chiameremo per fissare un nuovo incontro”.

Martina mise giù bruscamente e scosse la testa.

Avesse avuto soldi, era pronta a scommettere che non l’avrebbero mai richiamata.

Azionò la freccia e si immise in strada.

Almeno non l’avevano fatta arrivare fino in centro prima di avvisarla.

Certo che era un periodo veramente di merda….

Prima aveva chiuso l’azienda per cui aveva lavorato per cinque anni.

Da un giorno all’altro, senza preavviso, lasciando ventidue persone a casa.

Poco male, aveva pensato, siamo in due, ci aiuteremo come sempre.

Invece no: tempo un mese, e anche Marco l’aveva scaricata, dopo tre anni di convivenza.

“Sei troppo nervosa, non si ride più con te”, le aveva detto.

Chissà quante risate si sarebbe fatto ora, avesse saputo che anche l’ennesimo colloquio di lavoro era andato in merda!

Entrò nella sua via e puntò verso un posteggio sulla sua destra.

Mentre posteggiava, vide nello specchietto una figura che le sembrava familiare camminare sul marciapiede.

Ci mise qualche istante a riconoscerlo: era il ragazzo che le aveva montato la serratura; si vede che aveva qualche altro cliente in zona.

Scese dall’auto ed entrò in casa.

Era veramente delusa.

***

Luca rientrò in negozio, una volta tanto grato che non ci fosse nessuno ad aspettarlo, e andò subito nel retro.

“Mario, io preparo le fatture. Non disturbarmi per una mezz’ora”, urlò al suo dipendente.

Accese il computer e avviò il programma con cui avrebbe controllato le microtelecamere appena installate nell’appartamento di Martina.

Erano programmate per accendersi automaticamente ad ogni movimento, ma poteva anche controllarle in remoto; in quel momento, più che altro, voleva sincerarsi che funzionassero.

Erano cinesi comprate in maniera anonima on line; meglio non fidarsi.

Si collegò con la camera uno, quella della stanza da letto.

L’immagine era pulita e luminosa: funzionava perfettamente.

Si spostò sulla due, quella della stanza da bagno.

Quasi si spaventò quando vide il volto di Martina che sembrava quasi fissarlo.

La ragazza si stava lavando le mani.

Anche in questo caso l’immagine era perfetta, tanto perfetta che Luca capì subito che per Martina c’era qualcosa che non andava.

Martina si spostò in camera da letto, prese il telefono e chiamò la sua amica Sara.

“Frena gli entusiasmi – disse Martina non appena l’amica rispose – Neppure ci sono arrivata al colloquio, mi hanno disdetta lungo la strada”.

Si tolse le scarpe e ascoltò per qualche istante.

“Nessun altro appuntamento – rispose, slacciandosi i bottoni della camicetta – Secondo me l’avevano fissato solo perché mi aveva proposta Giancarlo, ma alla fine non gliene fregava nulla. E infatti…”.

Si tolse la camicetta e si sdraiò sul letto.

Era un’estate veramente calda. L’anno precedente, assieme a Marco, si erano ripromessi di comprare un condizionatore… ora sarebbe stata decisamente una spesa impossibile.

Luca, a trecento metri di distanza, trattenne il fiato, quasi fosse stato presente.

Il reggiseno in pizzo bianco nascondeva, ma non troppo, due seni rotondi e floridi.

“Togliti i pantaloni…”, le disse a fior di labbra, mentre avviava la registrazione del filmato

“Ne ho le palle piene di sentirmi dire che sono brava e che non avrò problemi, Sara. Tutti mi dicono la stessa cosa, però mai nulla, e nel frattempo i soldi stanno finendo. Anzi, sono già finiti”.

Si slacciò la chiusura dei pantaloni intanto che Sara rispondeva.

“Lascia stare i miei genitori, non ci posso contare. A parte che non sanno nulla, neppure di Marco, e poi come potrei chiederglielo? Hanno la pensione minima, c’è mio fratello ancora a carico… non è proprio il caso”.

Si sfilò i jeans e si sdraiò sul letto.

“Uomini? – disse con una falsa allegria nella voce – L’unico uomo che è entrato in casa mia negli ultimi mesi è stato questa mattina il ferramenta che è venuto a cambiarmi la serratura”.

Ascoltò qualche secondo.

“Nulla di ché… uno sfigato, come tanti”.

Non aveva più voglia di parlare.

“Sara, ti lascio che mi sta venendo la depressione. Ci sentiamo questa sera per uscire, se ti va”.

Mise giù senza neppure aspettare risposta.

Luca sentiva il suo pene premere attraverso la stoffa dei jeans.

Aveva sperato che attraverso le telecamere avrebbe potuto godere di qualche spettacolo interessante, ma non così presto.

Martina aveva un corpo da favola, nella sua semplicità.

Non aveva le curve di una pornostar, ma le forme di una bella ragazza, il che era decisamente meglio.

Era dispiaciuto che fosse senza lavoro, ma questo significava che sarebbe stata di più a casa.

Piuttosto, non gli era piaciuto sentirsi definire “uno sfigato”. Martina era bella, ma a giudicare da quanto aveva sentito neppure lei brillava per vita sociale ultimamente, quindi avrebbe potuto fare meno la snob.

Martina chiuse gli occhi.

E ora che avrebbe fatto?

Quello di quella mattina era l’ultimo appuntamento che era riuscita a fissare nel suo ramo, poi avrebbe dovuto improvvisare qualcosa.

Facile a a dirsi… ma cosa?

Il telefonino squillò ancora.

Lo prese in mano, sperando ardentemente che non fosse sua madre. Anche per telefono avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava.

Quando guardò il display, rimpianse che non fosse effettivamente sua madre.

Era il suo padrone di casa.

“Tanto è già una giornata di merda…”, commentò un attimo prima di aprire la comunicazione.

Azionò il viva voce, aveva la testa che le faceva male.

“Signor Agnello, ma che piacere!”, esordì, sperando di conquistare il suo favore con l’allegria.

“Sarebbe un piacere maggiore se mi pagasse l’affitto”, rispose acido l’altro.

Martina si mise a sedere sul letto offrendo, senza saperlo, una perfetta panoramica del suo seno a Luca.

“Lo so, lei ha ragione. Ma, come le ho detto la scorsa volta, io ho perso il lavoro, e poi anche il mio ragazzo se ne è andato…”, piagnucolò.

“Mi dispiace e per questo motivo sono anche stato tollerante, ma ormai sono tre mesi che non vedo un euro da lei e esperienza insegna che, più passa il tempo, più diminuiscono le probabilità di incassare. Quindi dobbiamo metterci d’accordo”.

Martina sospirò.

“Come possiamo accordarci?”.

L’uomo dall’altra parte del telefono rise: “In due maniere: o mi paga, o se ne va”.

Martina si sentì umiliata da quella risata.

“Speravo in qualcos’altro”, disse lei.

“Prego?”.

“Voglio dire, ci conosciamo da tanto tempo, sono sempre stata puntuale con lei. A volte sembra che tutto ruoti attorno al denaro”.

“Signorina, sto capendo bene? Mi sta offrendo qualcosa?”.

Dal suo tono di voce, Martina capì l’equivoco che stava nascendo.

“No, aspetti, non intendevo quello. Volevo solo dire che speravo mi concedesse più dilazioni, in nome di un rapporto che dura nel tempo”.

“No, gliel’ho già detto. Però…”.

“Cosa?”.

“Ora che mi ci fa pensare, non c’è solo il denaro. Una bella ragazza come lei ha sicuramente qualcosa di interessante da offrire oltre ai soldi”.

Martina diventò rossa.

“Signor Agnello, spero di essere io a capire male…”.

“Secondo me sta capendo benissimo”.

“Non credo alle mie orecchie, lei potrebbe essere mio padre!”.

“Ma non lo sono. Signorina, non faccia finta di non sapere come va il mondo”.

“No, certo, però non me lo aspettavo…”.

“Neppure io mi aspettavo di essere qui a mercanteggiare tre mesi di affitto. Mesi che potrebbero aumentare, oltre tutto, visto che non ha un lavoro”.

Martina non credeva alle proprie orecchie.

“Signor Agnello, mi sta dicendo che se vengo a letto con lei siamo d’accordo?”.

La temperatura le si era innalzata di almeno un paio di gradi e il cuore le batteva forte.

“No. Sto dicendo che domani sera alle sei passo a trovarla, e non me ne vado senza niente”.

Aveva paura di essere registrato, per questo si stava mantenendo sul vago.

“Ha capito signorina?”, domandò lui.

“Ho capito. Ci vediamo domani”, rispose, e mise giù.

Si abbandonò sul letto.

Come poteva fare?

Luca aveva voglia di toccarsi.

Oltre allo spettacolo di Martina in biancheria intima, la telefonata che aveva appena ascoltato lasciava presagire sviluppi interessanti.

Sarebbe andata a letto con il suo padrone di casa?

Ne aveva già sentite di storie così, non sarebbe stata né la prima né l’ultima.

“Le donne hanno anche questa arma – osservò tra sé e sé. – Se un uomo rimane senza soldi può solo morire, invece”.

Guardò il monitor.

Martina, sempre in biancheria intima, era ancora abbandonata sul letto, persa in mille pensieri.

Che colpo che aveva fatto!

La volta precedente che aveva tentato il giochino con la telecamera aveva spiato per mesi una coppia di quarantenni, talmente pigri a fare sesso che si era dispiaciuto per loro.

Questa invece…

Però lo aveva definito uno sfigato, e questo lo aveva ferito.

Aprì internet e si collegò su un forum di porno amatoriale che usava frequentare.

Era un assiduo lettore di quel forum; decisamente minore era la sua attività come postatore.

Quel giorno, invece, aveva del materiale di tutto rispetto…

Aprì un thread: “La mia vicina di casa”.

Estrasse alcuni screenshot di Martina, mentre si spogliava e coricata sul letto, e li caricò nella conversazione, quindi inviò.

Forse sarebbe diventato il protagonista di quella giornata.

Altro che sfigato…

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