Capitolo [part not set] di 13 del racconto Insane Asylum

di Aedon69

CAPITOLO 8 – LA FUGA

Questo contenuto è riservato a un pubblico adulto. Proseguendo nella lettura dichiari di avere almeno 18 anni.

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BIBLIOTECA DI MONTECRUCIO – ORE 17.00

Astor Almond aveva passato buona parte della giornata a cercare, sui libri della grande biblioteca del monastero, informazioni circa il sigillo. Nei volumi non aveva trovato nulla, era come se il complesso fosse stato costruito intorno al manufatto. Quando stava per arrendersi la sua attenzione fu catturata da un documento antico che illustrava la pianta del monastero alla fine del 1451. Il documento mostrava, nella parte sottostante il chiostro, diversi cunicoli e stanze accessibili da un unico punto, al centro del chiostro stesso. La lingua in cui era scritto il documento doveva essere ungherese, scorse le didascalie che descrivevano le varie stanze, si bloccò su una scritta a lui familiare, “Könyvtár”: biblioteca.

Astor si alzò dirigendosi verso l’entrata della biblioteca, il monaco che si occupava di gestire il catalogo dei volumi presenti alzò gli occhi su di lui.

“Mi scusi, questa è l’unica biblioteca del monastero?”, chiese Almond.

“Certo, non ce ne sono altre…” rispose il monaco, guardando l’uomo dinanzi a lui come se fosse un po’ ritardato.

Almond ringraziò il monaco per la sua disponibilità ed uscì dalla biblioteca, il sole ancora illuminava il monastero, si diresse verso il pozzo, si sporse, l’acqua immota rimandava la sua immagine. Si chinò alla base della costruzione, i mattoni rossi non evidenziavano nessuna apertura, nessun meccanismo.

Il secchio di legno era agganciato al telaio metallico che univa le due sponde del pozzo, lo sganciò forzando il piccolo lucchetto che lo ancorava alla struttura. Notò che il lucchetto e la carrucola non mostravano i segni del tempo, a differenza della struttura metallica a cui erano ancorati: il lucchetto era nuovo e la carrucola ben oliata. Lasciò cadere il secchio, la catena sferragliò fino al tonfo del secchio che cozzava con l’acqua. Afferrò la catena e tirò su, udì uno scatto provenire dalla parte opposta del pozzo.

Almond si avvicinò nel punto in cui aveva udito il rumore, una pietra si era scostata rivelando un bottone metallico, lo pigiò e si aprì una passaggio nascosto nel terreno erboso a ridosso del pozzo. L’uomo si guardò intorno, non c’era nessuno, scese le scale ripide, sentì il passaggio alle sue spalle richiudersi, il buio l’avvolse.

***

STANZA DA LETTO DELLA BADESSA – ORE 18:00

Suor Luigia era stesa sul letto, le mani ed i piedi legati con robuste cinghie di cuoio, completamente nuda eccetto il velo, attendeva con ansia il momento in cui si sarebbe aperta la porta. La punizione a cui era stata sottoposta dalla badessa e padre Ignacio qualche giorno prima non era ancora terminata, Suor Brigida l’aveva relegata nella sua camera tenendola a disposizione per i suoi capricci e le sue voglie. Nei due giorni seguenti era capitato che la badessa rientrasse in stanza per abusare di lei, per usare con violenza e depravazione il suo corpo per poi lasciarla di nuovo legata in camera in attesa del dolce supplizio successivo.

Il leggero ticchettio di un orologio a muro scandiva i minuti, lentamente. Suor Brigida l’aveva lasciata legata avvertendola che sarebbe tornata per elargirle una nuova punizione. La novizia cercava di immaginare cosa le sarebbe capitato, la sua fica era già bagnata, affamata di quelle sensazioni forti e nuove a cui l’avevano iniziata.

Lo scatto della serratura la fece sobbalzare, la badessa entrò nella camera da letto, vestita anch’essa soltanto dal velo e da un paio di autoreggenti velate, al suo seguito Suor Luigia vide entrare tre uomini di colore, vestiti con abiti da lavoro, erano alcuni degli inservienti che lavoravano nel reparto caldaie.

Senza parlare la badessa si avvicinò alla suora legata, afferrò il frustino posto sul comodino ed iniziò a scorrere la pelle nuda della donna, si soffermò sui suoi seni, alzò la mano e scudisciò i suoi capezzoli, ad ogni colpo Suor Luigia gemeva di dolore e piacere inarcando la schiena.

Nel frattempo gli uomini di colore si erano spogliati, erano grossi e muscolosi, sudati. I loro cazzi erano già duri, le cappelle rosse erano invitanti, gonfie e lucide.

La badessa slegò la donna, avvicinò la bocca alla sua, la baciò suggendo la sua lingua con passione, con una mano scorse lungo la sua schiena arrivando alle natiche, le sue dita si insinuarono nel solco morbido delle natiche, saggiarono l’elasticità del tenero buco del suo culo, un gemito sfuggì dalle labbra di suor Luigia.

I tre uomini erano sul letto, le loro mani si avventarono curiose sul corpo della suora, dita forti le stringevano le carni facendole provare dolore. Suor Brigida ricominciò a frustarla, gli uomini le schiaffeggiavano i seni e le natiche. I suoi capezzoli erano turgidi, la pelle del suo seno abbondante arrossata dagli schiaffi e dalle scudisciate che stava ricevendo, la sua fica colava copiosa, era eccitata, ad ogni colpo il suo corpo rispondeva con l’aumentare della sua voglia, si sentiva succube, usata come una schiava, un oggetto da usare ed abusare per donare il piacere ai suoi aguzzini.

Uno degli uomini la prese a forza, la rigirò sul letto spalancandole le cosce, si sputò sulla mano per poi ungere il suo cazzo enorme di saliva, le entrò dentro con violenza mentre gli altri due le stavano infilando a turno i loro cazzi nella bocca. Suor Luigia succhiava a turno le verghe odorose degli uomini, il suo ventre aderiva a quello dell’uomo che la stava scopando. Nel frattempo la badessa si masturbava guardando la novizia che veniva presa da quegli uomini rudi, tra le sue gambe muoveva un grosso fallo artificiale dal diametro enorme, lo spingeva con forza tra le sue grandi labbra umide e prominenti mentre con l’altra mano stringeva il clitoride. Gli uomini fecero girare suor Luigia, due di loro si misero in piedi dietro di lei, le aprirono le natiche generose con le mani, il primo scivolò nel suo culo con brutalità, la donna urlò, il secondo si posizionò poggiando la sua cappella gonfia dove il suo compagno la stava inculando, spinse forte fino ad entrare anch’esso nel culo della donna. La badessa iniziò a succhiare il cazzo dell’uomo ai piedi del letto, leccava l’asta turgida dalla radice alla cappella lasciando sul membro un sottile filo di saliva, nel mentre si avvicinò a gambe larghe verso la bocca di suor Luigia, la lingua della novizia si insinuò tra le labbra sporgenti della Badessa leccando avida il piacere della sua aguzzina. Il culo di suor Luigia continuava ad essere slabbrato dai due uomini dietro di lei, il suo orifizio dilatato accoglieva i due grossi cazzi colando liquidi caldi, le sue natiche erano arrossate dalle frustate e dai poderosi colpi di bacino che i due neri le davano affondando nel suo culo.

“Ti piace schiava? Ti gusta farti inculare?”, chiese la badessa alla novizia.

“Siiii….”, mugolò la suora, stravolta dal piacere. “… mi sento sfondata… sono la vostra cagna mia superiora!”

La badessa si alzò, ordinò agli uomini che stavano inculando la donna di sfilarsi, si mise in piedi dietro la suora, allargò le gambe allargandosi la fica con le mani, iniziò a pisciare sul suo culo dirigendo il getto di urina sul buco orrendamente slabbrato.

I tre uomini infilarono a turno i loro uccelli tra le labbra della suora, spingendo fino a strozzarla, la riempirono di sperma caldo, bianco e cremoso, la suora leccava il liquido colato ai lati della sua bocca godendo del suo orgasmo.

Una volta congedati i tre uomini suor Brigida si avvicinò alla novizia:”La tua penitenza è finita ora mia piccola puttana… fai attenzione ai tuoi atti, la prossima volta sarò più severa…”

Suor Luigia annuì abbassando lo sguardo, fremendo all’idea di essere di nuovo punita.

***

RICOVERO DI MONTECRUCIO – ORE 18.00

Padre Giovanni arrivò al posto di guardia, situato all’ingresso del lungo corridoio dell’ala detentiva del ricovero. La guardia lo salutò distrattamente aprendo la pesante grata metallica. Il monaco si avviò lungo il corridoio spingendo il carrello che portava i contenitori caldi della cena da distribuire ai detenuti.

“La ceeeennnnnaaaaa….” Urlò il monaco, per avvisare i detenuti della sua presenza.

Ad ogni porta Padre Giovanni infilava il vassoio nello spioncino, mani ossute, sporche, ritiravano il pasto, tremanti ed avide.

il monaco proseguì con la sua opera fino a quando, giunto dinanzi ad una cella, si fermò, guardando in direzione del posto di controllo. La guardia era intenta a guardare un film sullo schermo del computer, Padre Giovanni sollevò un lembo della pesante tovaglia bianca che copriva il carrello, dallo scompartimento in basso uscì Agata, la studentessa che qualche ora aveva incontrato nel chiostro.

“E’ questa la cella?” Chiese la ragazza all’uomo alto che controllava guardingo il posto di controllo.

“Si”, rispose lui sottovoce.

Dallo spioncino si scorgevano due occhi neri, bui come la pece, che osservavano in silenzio i due, fermi dinanzi la pesante porta metallica.

Agata poggio la mano sulla serratura, una luce incandescente si avvolse sul metallo della serratura, con gli occhi chiusi la ragazza recitava una strana preghiera, il metallo iniziò a sfrigolare, uno scatto annunciò l’apertura della cella. Agata entrò furtiva, Padre Giovanni richiuse la porta accostandola e proseguì con la distribuzione del cibo.

Di fronte ad Agata c’era una ragazza di poco più grande di lei, lunghi capelli neri, occhi altrettanto neri e malvagi, le labbra rosso vermiglio ben pronunciate ed invitanti.

“Sono ai tuoi ordini mia padrona….” Disse Agata inginocchiandosi ai piedi della ragazza.

Lucia avanzò verso la studentessa, i suoi occhi si contornarono di una luce fluorescente, malata, poggiò le mani sulla testa della ragazza, i suoi capelli rossi si rizzarono, come attirati da una forte carica elettrostatica che faceva sfrigolare l’aria circostante.

Agata fu pervasa da una serie di convulsioni, la sua bocca si storse in una smorfia silenziosa di dolore, cercò di divincolarsi dal tocco di Lucia ma era come se mani invisibili le tenessero ferma, immobile, ancorata al pavimento incapace di muovere un muscolo.

La coscienza di Agata stava svanendo, poteva vedere la sua anima fuoriuscire da se stessa come un flusso evanescente di materia inorganica. Uno spasmo, l’ultimo, Lucia si accasciò a terra interrompendo il contatto con Agata, inginocchiata dinanzi a lei.

La ragazza dai capelli rossi si rialzò ansimando, stette a contemplare il corpo della ragazza mora sul pavimento, inanime, freddo, si avvicinò alla porta di metallo e la aprì, imboccò il corridoio in direzione del posto di controllo, la guardia era ancora distratta. Il poliziotto si avvide della fuga della prigioniera quando questa era a pochi passi dalla sua scrivania, imprecò mentre cercava di pigiare il bottone rosso, situato a fianco del computer, per dare l’allarme.

Agata mosse una mano, il collo della guardia si torse in un movimento innaturale e si accasciò a terra, come un sacco vuoto, la ragazza si incamminò verso l’uscita.

Lucia fu investita dalla luce, era tanto tempo che non usciva all’aria aperta. Le piaceva il corpo della ragazza dai capelli rossi, tracce della sua essenza risuonavano dentro di lei come echi di voci lontane. Si incamminò verso l’ostello, la memoria della ragazza che aveva abitato quel corpo prima di lei si erano fusi con i suoi, salutò le sue compagne mentre saliva verso la camera dell’ostello, entrò, non c’era nessuno nella stanza. Dietro la porta c’era un grande specchio, Lucia si fermò ad ammirare la sua nuova forma. Aveva i capelli rossi, gli occhi erano verde chiaro, il suo naso era puntellato di graziose lentiggini, le sua labbra erano carnose e rosse. Si spogliò, le sue mani percorsero il corpo della ragazza, si soffermarono sui seni piccoli e sodi, la sua fica era ornata di radi peli ricci e rossicci, le sue grandi labbra erano sporgenti, rosee ed invitanti. Infilò un dito dentro di lei, era bagnata, tornare a sentire il piacere del sesso la fece sorridere, le piaceva quel corpo, poteva servire ai suoi scopi, agli scopi del suo padrone.

Lucia chiuse gli occhi, scrutò con la mente l’ambiente circostante, padroneggiava poteri a lei sconosciuti, non era più né Agata né Lucia, era un essere diverso, riusciva a vedere le sue compagne che schiamazzavano come oche nella stanza accanto, poteva udire i loro discorsi futili. Allargò il raggio del suo potere, visualizzò la stanza del professor Meyer, l’insegnate di chimica. L’uomo era disteso nudo sul letto, con una mano teneva una foto che ritraeva tre ragazze della sua classe, con l’altra si masturbava armeggiando un cazzo enorme, ritto e venoso.

Agata uscì dalla stanza dirigendosi verso quella del professore, bussò.

“Ehmm… mhhh… Chi è?” sentì rispondere dall’altra parte della porta.

“Professore, sono Agata, ho bisogno di chiederle una cosa, posso entrare?”, le labbra della ragazza erano increspate in un sorriso malizioso.

“Aspetta cinque minuti Agata, ora ti apro la porta…”, rispose il professore in tono imbarazzato.

Il professor Meyer aprì la porta invitando l’alunna ad entrare, una canottiera bianca ed un paio di pantaloni color caki, sgualciti, tradivano la fretta con cui si era rivestito. Agata restò ai piedi del letto mentre l’uomo richiudeva la porta, la invitò a sedersi su una poltroncina, lui si sedette ai bordi del letto.

Agata aveva i primi due bottoncini della camicetta sbottonati, la pelle morbida e candida del suo piccolo seno faceva capolino dalla scollatura, la soffice gonna di tweed si alzò leggermente nella seduta, il professore guardò imbarazzato per poi distogliere immediatamente lo sguardo.

Nel rivestirsi l’uomo non si era infilato le mutande, il bozzo che sollevava la stoffa dei pantaloni all’altezza dell’inguine era inequivocabile, Agata gli diede una rapida occhiata, assunse un’espressione ingenua e maliziosa.

“Professore… sono stata molestata…”, disse la ragazza abbassando gli occhi.

“Come? Chi? Dove?”, rispose trafelato il professore sgranando gli occhi.

“Nel chiostro, mentre ero con le mie compagne, uno dei monaci mi ha toccato….”

“Dove ti ha toccato?”

Agata si mise in piedi, era di fronte al professore, alzò la gonna mostrando le sue cosce nude e le mutandine bianche, premette con un dito tra le gambe in modo che il cotone morbido delle mutandine disegnasse il contorno della sua fica implume.

“Qui!”, disse la ragazza lasciando il suo dito tra le gambe, il tessuto delle mutandine si ombrò leggermente a contatto con il liquido che le stava bagnando la fica.

Il cazzo del professore ebbe un guizzo eccitato, la ragazza gli afferrò la mano.

“Faceva così…”, continuò Agata portando la mano piccolina ed ossuta dell’uomo all’altezza del suo inguine, impugnò un suo dito e se lo portò sulla fica iniziando a strofinare il tessuto umido delle mutandine.

Il professor Meyer era inebetito, il cazzo gli stava scoppiando, i rossi accesi sulle guance della ragazza lo eccitavano ancor più del contatto con la sua fica. Agata gli lasciò la mano, lui continuò a toccarla con le dita, la voce rotta dall’emozione: ”Faceva proprio così?”

“Si professore, poi mi ha portato dietro una colonna e mi ha fatto girare…”, disse piagnucolante Agata.

“Come?”, chiese l’uomo eccitato all’inverosimile.

Agata si girò abbassandosi le mutandine, mostrò le sue natiche piccole e sode all’uomo, le allargò con le mani e disse: “Così! Mi ha toccato il buchino…”

“Questo buchino?”, chiese l’uomo in maniera ingenua portando le sue dita sul piccolo forellino ambrato della ragazza iniziando a massaggiarlo delicatamente.

L’entità che aveva preso il posto di Agata stava godendo di quei tocchi, i mesi di prigionia in stato catatonico le avevano precluso ogni forma di soddisfazione sessuale, le sue sensazioni ed i suoi appetiti si stavano risvegliando prepotentemente, bramava di essere presa in maniera animale.

“Mhhhh professore, si, mi toccava così, a me piaceva… sono cattiva? Anche adesso mi piace, mi sento così strana, mi sento così umida!”

“No è normale…” rispose l’uomo mentre si umettava le dita con la saliva.

Toccò la fica dalla ragazza, era fradicia, iniziò a masturbarla mentre lei si teneva su la gonna con le mani. Meyer tornò a toccarle il culo, le sue dita umide di saliva ed umori si fecero strada nella carne morbida tra le natiche di Agata. La ragazza gemette quando le dita dell’uomo entrarono nel suo sfintere morbido e caldo. Il professore infilò completamente il suo dito nel culo della ragazza mentre con l’altra mano le masturbava la fica.

Agata si staccò da lui, iniziò a spogliarsi, l’uomo fece lo stesso abbassandosi i pantaloni e scoprendo la sua erezione. Completamente nuda la ragazza si mise in ginocchio sul letto.

“Lo rifaccia professore… lo rifaccia usando quello…”, disse Agata indicando il cazzo enorme dell’uomo.

Meyer afferrò la ragazza per i fianchi, poggiò la sua cappella umida all’ingresso dell’invitante buchino di Agata premendo delicatamente. Il suo cazzo venne avvolto dal calore umido di quel culo giovane ed eccitante, spinse leggermente entrando dentro di lei lentamente. La ragazza chiuse gli occhi gustandosi quel bastone nodoso che centimetro dopo centimetro le stava allargando lo sfintere, respirò profondamente per poi aderire all’uomo facendosi sprofondare quel cazzo nodoso interamente nel culo.

Il professore afferrò i codini della ragazza piegandole la testa verso l’alto, iniziò a muoversi sentendo scivolare il cazzo nel caldo avvolgente del suo culo. Agata ansimava e si contorceva dal godimento, con una mano si strofinava il clitoride per accentuare il piacere. Il professore guardava il culo di Agata allargarsi ad ogni suo affondo, la ragazza sembrava indemoniata, si muoveva veloce assecondando il suo movimento, con le mani si allargava le natiche per far entrare più a fondo il cazzo dell’uomo.

Agata si sfilò dal professore sdraiandosi sul letto, allargò le gambe afferrando con le dita le sue grandi labbra, allargò la fica invitando l’uomo dentro di lei. La vista della fica così spudoratamente offerta eccitò Meyer che le afferrò le caviglie allargandola ancora di più, entrò dentro di lei, era fradicia e calda. Mentre veniva scopata la ragazza si stringeva i capezzoli rosei, roteava la lingua come a leccare un cazzo immaginario.

Mayer stava per venire, la ragazza lo fermò:”Non ancora…”, disse afferrandogli il cazzo e stringendolo forte alla radice, allargò le labbra, lo fece scivolare in bocca ingoiandolo completamente, sentiva il sapore forte dell’uomo sulla sua lingua, lo succhiava avida ed eccitata.

Gli occhi della ragazza si illuminarono leggermente di un iridescenza verde, opaca, una bruma sottile iniziò ad avvolgere il membro dell’uomo che teneva la testa della ragazza per i codini imponendole il ritmo del pompino, la nebbiolina salì avvolgendo l’uomo, insinuandosi nella sua bocca, nelle sue narici, il godimento salì di intensità. Il professore schizzò nella bocca della ragazza, ormai sopraffatto e senza coscienza, i suoi occhi mutarono colore, erano punti neri in un abisso scuro. La ragazza continuò a succhiare il cazzo dell’uomo gustando ogni singola goccia di sperma caldo, la volontà di Meyer cessò di esistere, si alzò guardando la ragazza con occhi spenti e scuri, lei lo guardò maligna e rise.

“Ascoltami ed esegui…”, disse la ragazza rivolta a quello che un tempo era il professor Tiziano Meyer.

***

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