Capitolo [part not set] di 13 del racconto Insane Asylum

di Aedon69

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CAPITOLO 3 – LA PRIMA NOTTE

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Ricovero di Monte Crucio – ore 20.00

Suor Brigida sedeva di fronte al direttore del ricovero di Monte Crucio, il dottor Sibelli. La particolarità della struttura era la sua ispirazione riformista, l’area doveva servire come struttura di detenzione per persone affette da gravi turbe psichiche ma al contempo era destinata alla ricerca di cure all’avanguardia, atte a curare quelle stesse affezioni.

La direzione era stata affidata alla badessa, in qualità di madre spirituale per tutti i pazienti, all’abate, che curava la direzione logistica ed organizzativa, a al dottor Sibelli, medico della polizia di stato, che si curava della sicurezza e delle terapie mediche e psichiatriche.

Il dottor Sibelli era alto, dinoccolato, sulla cinquantina, capelli neri e ricci, il mento volitivo unito ad uno sguardo arguto ed intelligente lo rendevano un uomo attraente, aveva molte storie ma nonostante questo non era sposato.

“La vedo preoccupata Brigida, che le succede?” disse il dottore rivolgendosi alla suora.

Stava versandosi del brandy in un paio di bicchieri, ne porse uno a suor Brigida.

“Dalla Santa Sede sono preoccupati dalla presenza della nostra ospite, le alte sfere del clero stanno ricevendo molte pressioni da alcuni organi di governo…”

“Lo so, anche io ricevo almeno un paio di telefonate al giorno, la mia sensazione è che qualcuno in alto abbia paura, al momento la nostra ospite non spiccica una parola, se ne sta immobile seduta al centro della stanza, mangia a forza, deve essere vestita e lavata.”

“E le sedute?” chiese la badessa sorseggiando il liquido ambrato.

“Nulla, ho provato con tutte le metodologie standard ma non ho ottenuto alcun risultato, mutismo assoluto, nessuna reazione agli stimoli visivi.”

“Va bene, tienimi informata se ci sono novità, ho delle brutte sensazioni e non vorrei che la cosa ci scoppiasse in mano.”

Il dottore le pose una mano sulla spalla: “stai tranquilla, lo sai che di me ti puoi fidare.”

***

Mezzana – ore 21.00 – Gianna e Leandro

Leandro aveva raggiunto il centro del paese, si era fatto dare il motorino da Marco, il figlio dei Lorci, dietro l’elargizione di un piccolo compenso.

L’improvvisa uscita della moglie lo aveva insospettito, ripresosi dal torpore si era vestito in fretta e in furia con l’intento di raggiungerla.

Si era fidanzato con Gianna che era molto giovane, l’aveva conosciuta nell’ambito della parrocchia del quartiere, si erano piaciuti subito. Leandro cercava una brava ragazza senza troppe pretese, semplice, che avrebbe cresciuto i suoi figli e che avrebbe badato alla casa.

Geloso, come la maggior parte degli uomini del sud, non concepiva affatto quel guizzo di libertà improvviso che aveva colto la neo sposa.

Gianna si alzò dalla tavola dopo aver pagato il conto, il filetto al pepe verde aveva soddisfatto la sua fame. Durante la cena gli altri ospiti guardavano di sottecchi quella donna bella e provocante che mangiava sola al ristorante, lei incurante dei loro sguardi era persa nei propri pensieri.

Era arrivata vergine al matrimonio, nonostante i numerosi corteggiatori che si erano cimentati nell’arduo compito di farle tradire il suo fidanzato, e si aspettava notti focose ed appassionate. Invece Leandro era stato una delusione, arrivati nella camera da letto, la prima notte di nozze, non le aveva fatto provare quelle sensazioni magiche che lei si aspettava.

Suo marito non le aveva concesso quei baci intimi e quella passione che una donna si aspetta durante la sua prima volta, dopo pochi minuti di coito si accasciava a letto ronfando come un ghiro, lasciandola insoddisfatta. Ed oggi, da quando aveva lasciato la chiesa del monastero, si sentiva inquieta e su di giri, aveva bisogno di provare emozioni forti, come se qualcosa dentro di lei spingesse per far uscire una parte di lei mai conosciuta.

“Fanculo a quel coglione…” esclamò a voce alta appena uscita dal ristorante. Rise mentre si dirigeva verso il neon azzurro di un locale che, a prima vista, le sembrava un disco pub.

Era una sera bellissima, la luna piena illuminava le case antiche del paese, i mattoni in pietra grezza delle abitazioni risaltavano al chiarore tenue dei lampioni ad olio.

Entrò nel locale, non c’era molta gente, due o tre gruppetti di comitive che bevevano birra e chiacchieravano tra loro, alcuni uomini erano seduti sugli sgabelli di fronte al bancone centrale.

Lo spazio centrale, dove si sarebbe potuto ballare, era deserto.

Ovunque il locale era illuminato da neon fosforescenti che davano all’ambiente un aspetto da night di quart’ordine.

Si avvicinò al bancone, seguita dagli sguardi dei presenti, la gonna di pelle nera le faceva risaltare il culo, una ragazza diede una gomitata al suo fidanzato che stava guardando Gianna con ammirazione allupata. Si sistemò su uno sgabello, accavallò le gambe scoprendo le sue cosce abbronzate e ben fatte.

L’aria condizionata era la massimo, il freddo le fece inturgidire i capezzoli che trasparivano duri ed erti dalla camicetta bianca. Uno degli uomini al bancone si avvicinò a lei.

“Ciao, sei sola? Ti posso disturbare?” approcciò uno dei clienti, avvicinandosi con lo sgabello a Gianna.

“Lo stai già facendo… se non sbaglio…” rispose Gianna sorseggiando la Tennents direttamente dalla bottiglia.

L’uomo rise, aveva i denti cariati, un riporto unto gli copriva a malapena la pelata tonda della testa, la sua camicia era tenuta chiusa solo da un bottone, tesa a dismisura dalla sua pancia prominente.

“Sei un camionista?” gli chiese lei guardandolo con curiosità.

“Si…”

“Anche io sono un camionista…” disse un altro uomo che le si era affiancato al bancone.

“… è un mio amico.” Puntualizzò il cicciotto.

Il nuovo arrivato doveva essere dell’est Europa, era alto, biondo, occhi azzurro chiaro che teneva ben fissi sulle tette di Gianna.

“Wow è la mia serata fortunata allora…” disse ridendo la donna, “… dove avete i vostri camion?”

Rispose il cicciotto: “ sono parcheggiati dietro il bar, sono molto grandi… e comodi!”

“E voi… siete grandi? Sapete, una donna sola, di notte, si deve poter fidare di due uomini… grandi… che si prendono cura di lei!”

Il ragazzo dell’est le prese delicatamente la mano, la fece scendere dallo sgabello, nel movimento aderì a lei strusciandole il pacco sulla gamba.

“Che ne dici? Può andare?”

“… vediamo i vostri camion!“ rispose Gianna leccandosi le labbra.

Si appoggiò al braccio del biondo e prese per mano il cicciotto facendosi scortare fuori dal bar.

Leandro scorse sua moglie mentre usciva da un bar accompagnata da due uomini mai visti. Il primo impulso fu di aggredirla e riportarla all’ostello ma invece la seguì, attento a non farsi scorgere.

La donna sculettava giuliva tra i due energumeni, uno alto e l’altro basso e ciccione, si dirigevano verso il retro del bar, arrivarono ad un parcheggio dove stazionavano due grossi tir cromati, Gianna fu fatta salire su quello rosso, nell’aiutarla il basso le mise una mano sul culo, sua moglie non fece una piega.

Leandro era roso dalla rabbia, si avvicinò al camion.

***

MONASTERO DI MONTE CRUCIO – ORE 22.00

Padre Alphonse era chinato sul sigillo, con le mani scorreva il rilievo del leone scolpito sulla superficie della pietra. Il monaco consultava un libro antico poggiato al suo fianco. Le sue dita si infilarono nei fori delle orbite sporgenti del leone, non successe nulla, un’espressione delusa si dipinse sul suo volto.

Un rumore lo distolse dalla sua ricerca, un clangore metallico rimbombava nel silenzio della chiesa deserta, sembrava che qualcuno battesse con del metallo su una delle colonne.

Padre Alphonse gridò: “Chi è là, fatti vedere…”

Il rumore aumentò di intensità, il monaco non riusciva ad identificare la provenienza del suono, prese la torcia e si diresse verso il fondo della navata. La luce si rifletteva spettrale sui muri di pietra.

“CLANG… CLANG… CLANG”

“Basta, chi è che si diverte a giocare in un luogo sacro… SMETTETELA!” Urlò di nuovo.

Il monaco illuminò un punto, dietro una colonna della navata, da dove sembrava venisse il rumore, non c’era nulla, il suono cessò improvvisamente. Una risata femminile si propagò nella chiesa, rumori di passi affrettati. Padre Alphonse tornò correndo al sigillo, il libro era sparito.

Diresse il raggio di luce verso il fondo dell’abside, negli angoli nascosti, non scorse nulla. Un dolore sordo ed improvviso lo colpì dietro la testa, si toccò la nuca, era bagnata: la sua mano era sporca di sangue.

Prima che potesse realizzare cosa stava succedendo un altro colpo lo raggiunse, facendolo crollare a terra, il colpo lo aveva raggiunto sulla fronte, sentiva il sangue colargli sugli occhi e gocciolare sulla pietra scura del sigillo, cercò di trascinarsi lontano, la testa formicolava. Un terzo colpo, la vista sbiadiva, l’ultima immagine che vide fu il suo sangue che veniva risucchiato dalle orbite nere del leone… poi il nulla.

***

Mezzana – Gianna – ore 22.30

Leandro, una volta che vide chiudersi la portiera del camion rosso, si avvicinò attento a non farsi scoprire. Il tir era troppo alto perché lui potesse scorgere qualcosa affacciandosi ai finestrini. Tese l’orecchio a captare le voci che provenivano dall’abitacolo.

A bordo Gianna sedeva in mezzo ai due uomini, appoggiati su dei cuscini rimediati nel retro dell’abitacolo stavano bevendo della vodka. L’uomo biondo si chiamava Dimitri, veniva dall’Ucraina ed era sposato con una donna italiana di Verona mentre il suo amico, il cicciottello, si chiamava Calogero, era della Sicilia, trasportava materiale chimico per la Tergaflex, l’industria farmaceutica situata nella zona industriale a ovest di Mezzana.

La gonna di Gianna copriva ben poco della delle sue gambe, i due la palpeggiavano in modo sempre più audace. Calogero pose la sua mano in mezzo alle cosce della donna, le sue dita sfioravano il tessuto sottile delle minuscole mutandine.

“Come mai il tuo maritino ti lascia sola la notte? Hai detto che sei in viaggio di nozze” chiese Dimitri mentre con la mano frugava dentro la camicetta di Gianna tastandole il seno.

“Diciamo che lui non mi dà quello che mi merito…” Rispose Gianna allargando le gambe e guardando maliziosa l’ucraino.

Calogero scostò le mutandine di Gianna toccandole le labbra invitanti ed umide della fica, mise la testa tra le sue gambe ed iniziò a leccarla. Dimitri iniziò a baciarla, sbottonandole la camicetta e scoprendo i seni nudi.

Leandro, da fuori, riusciva a sentire soltanto scampoli della conversazione, si rodeva il fegato a pensare a quello che stava succedendo al suo interno.

Gianna interruppe i due uomini, il suo sguardo si era fatto vacuo, una strana luminescenza verde le illuminava le iridi, un sorriso malvagio le si dipinse sul volto.

“Fuori c’è un uomo… mio marito…” disse con una voce che non sembrava nemmeno più la sua, “… voglio che lo prendiate, lo voglio legato…”

Calogero e Dimitri si scambiarono un’occhiata complice e divertita, quella puttana era perversa e senza scrupoli, si sarebbero divertiti quella notte. L’ucraino prese le corde da traino da sotto il sedile ed aprì la portiera.

“Che cazzo fai, ci stai spiando…” disse Dimitri scendendo dall’abitacolo.

“Ma… io… c’è mia moglie lì sopra…” balbettò Leandro colto sul fatto.

Dimitri lo afferrò forzandogli le mani dietro la schiena. Calogero lo tenne fermo mentre il suo compare gli legava i polsi, Leandro cercò di divincolarsi ma la sua corporatura magrolina non gli permise di avere la meglio.

Dalla cabina scese sua moglie, la gonna ancora tirata su e raccolta sui fianchi, le mutandine scostate le lasciavano scoperte le labbra della fica, la camicetta lasciava fuoriuscire i seni. Iniziò a girare intorno al marito canzonandolo.

“Mhh… al maritino segaiolo oggi impartiremo una bella lezione…”

“Gianna… ti prego… che stai facendo…” urlò Leandro in preda la panico.

Gianna indicò ai due uomini il boschetto dietro il parcheggio. “Lì, portatelo tra gli alberi, staremo comodi…”

I due uomini, trascinando Leandro per un braccio, seguirono Gianna che li precedeva. Aveva ancora la gonna tirata su, il suo splendido culo era illuminato dalla luna, il passo reso sensuale dai tacchi alti che indossava la facevano apparire bellissima e fatale.

Arrivarono in una radura, non distante dal parcheggio ma abbastanza coperta da non essere vista dalla strada. I due camionisti legarono Leandro ad un albero.

“Qui è pieno di guardoni e froci…” Disse Calogero rivolto alla donna.

“Tirategli giù i pantaloni e le mutande, lo voglio nudo…” ordinò Gianna ai suoi nuovi amici.

Leandro, incapace di ribellarsi, restò nudo, legato all’albero, il pisello moscio gli pendeva inerte tra le gambe.

“Che cazzetto piccolo che hai amore mio…” disse ridendo Gianna, di nuovo il barlume verdastro saettò nei suoi occhi, “… ora vediamo dei veri cazzi…”

Gianna si abbassò davanti ai due camionisti, iniziò a toccarli tra le gambe, gli tirò giù i pantaloni, i cazzi dritti degli uomini erano davanti al suo viso, allargò la bocca ingoiando quello di Calogero. Il cazzo dell’uomo era spropositato, non molto lungo ma aveva una circonferenza paurosa, la bocca di Gianna riusciva a fatica a far entrare quel bastone di carne tra le sue labbra. Dimitri le tormentava i seni, strizzando i capezzoli, leccandoli e mordicchiandoli. La donna teneva le gambe ben spalancate, iniziò a colare copiosa tra le gambe, sgocciolava oscena i suoi umori.

Calogero spingeva il suo cazzo sempre più a fondo, lei lo guardava negli occhi mentre faceva sparire, centimetro dopo centimetro, il suo enorme membro nella sua bocca.

“Miii che troia che è questa Dimitri, mi sta succhiando l’anima…” disse sognante il siciliano.

Gianna rise malvagiamente per un attimo guardando il marito legato all’albero, costretto a guardare la scena.

Un fruscio tra gli alberi, alcuni uomini si avvicinarono alla radura, erano circa una decina, tutti si toccavano tra le gambe spiando la scena. Leandro girò la testa vedendo il gruppo di guardoni proprio alla sua destra.

“Vi prego liberatemi…” implorò.

I guardoni non gli dedicarono nemmeno uno sguardo, la loro attenzione era totalmente rivolta alla donna che si stava impalando sul cazzo dell’uomo biondo sdraiato sull’erba. La bocca della donna era riempita dal cazzo dell’uomo cicciottello.

Calogero le teneva la testa per i capelli imprimendo alla donna il ritmo del pompino. Gianna succhiava e leccava il cazzo del siciliano lordandolo di saliva, ansimava mentre l’uomo le spingeva il membro duro giù per la gola. Con le mani poggiate sull’erba Gianna spingeva il suo bacino forte verso il cazzo di Dimitri, le gambe spalancate verso il gruppo di guardoni che, incoraggiato dalla mancanza di reazioni, si avvicinò alla scena.

Leandro ebbe un’erezione, seppur stravolto da quello che stava accadendo il suo corpo reagiva in maniera autonoma alla scena eccitante che stava avendo luogo nella radura.

Il gruppo di guardoni si era fatto coraggio, avevano fatto girare Gianna, Dimitri l’aveva fatta montare a cavalcioni sul suo cazzo scopandola forte e tenendola per i fianchi, uno dei guardoni la stava inculando, le era scivolato dentro come nel burro, le allargava le natiche, sputava sul suo buco del culo mentre glielo allargava con le dita.

La lingua di Gianna, la sua bocca, erano impegnate a soddisfare gli uomini che le porgevano i loro cazzi duri dinanzi al volto. Li stava spompinando tutti, alcuni le cominciarono a sborrare in faccia caldi getti di sperma, la bocca le colava di liquido vischioso ed acre.

Leandro si girò quando sentì una mano afferrargli il cazzo duro. Un travestito spuntato alle sue spalle gli stava silenziosamente facendo una sega. Era vestito con una canottiera nera aderente, una gonna azzurra e delle calze a rete. Si vedeva che portava una parrucca, bionda, a caschetto, le sue labbra erano cariche di rossetto. Il travestito si infilò il cazzo di Leandro in bocca, iniziò a leccargli l’asta dura mentre la sua mano continuava a masturbarlo.

A turno gli uomini stavano scopando Gianna come una cagna, i suoi vestiti erano lordi di sperma, la fica era arrossata e fradicia, le sue grandi labbra avvolgevano i cazzi gonfi che le scivolavano dentro. Il suo culo si era oscenamente slabbrato, sentiva quei bastoni duri penetrarle nello sfintere uno ad uno, li sentiva quando, all’apice del piacere, le schizzavano dentro, avvertiva il liquido scivolarle lento fuori dal culo per colarle tra le cosce.

Il travestito si era piegato davanti Leandro facendosi inculare mentre teneva il gonnellino azzurro raccolto sul davanti. Leandro guardava il suo cazzo entrare comodo in quel culo sfondato e caldo. Il travestito ansimava muovendo il bacino, Leandro godeva vedendo sua moglie profanata da tutti quegli uomini rudi.

Gianna urlava in preda agli orgasmi che le squassavano il ventre, era coperta di sperma, la bocca, il viso, i capelli. Gli uomini continuavano imperterriti a scoparla, si era poggiata con le mani ad un albero mentre veniva presa da dietro, la sua fica ed il suo culo erano ormai oscenamente dilatati e luridi.

Gli uomini lasciavano la radura una volta soddisfatti. in silenzio. Gianna, ormai rimasta sola, ansimava per il godimento, era come se il suo corpo non resistesse a sensazioni così intense. Alzò gli occhi, vide suo marito che, ancora legato, stava ricevendo un pompino da un travestito agghindato come una troia. Lo vide venire nella sua bocca, il travestito ingoiò soddisfatto, salutò Leandro e se ne andò, sparendo tra gli alberi del boschetto.

Gianna si avvicinò al marito, pose le proprie labbra sporche di sperma sulle sue. Leandro ancora eccitato da tutte le emozioni vissute ebbe una nuova erezione. Gianna si abbassò e glielo prese in bocca, continuarono, in silenzio, non ancora sazi delle sensazioni che i loro corpi potevano donare.

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