Capitolo [part not set] di 13 del racconto Insane Asylum

di Aedon69

CAPITOLO 1 – MEZZANA E IL MONASTERO DI MONTE CRUCIO

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[Photo credit immagine di copertina]

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Mezzana, 1429

Fiorenzo era rimasto in casa, una febbre fastidiosa lo aveva costretto a restare a letto, aveva comandato sua moglie, Giustina, di avvertire il maniscalco della sua assenza prima di raggiungere la villa dove prestava servizio.

Sua moglie, Giustina, lo aveva lasciato alle cure della figlia, Alba.

Le chiuse delle finestre erano accostate ed un tiepido raggio di sole illuminava la stanza da letto, stava meglio ma il medico gli aveva raccomandato il riposo.

Alba in cucina infornava una pagnotta di farina e ceci, la ragazza era graziosa, i capelli neri raccolti in una crocchia le incorniciavano il viso tondo e gli occhi scuri.

“Babbo…vuoi della zuppa per pranzo?”

“No figlia, gradirei della carne, tua mamma ne ha portata ieri, cosciotto di lepre…”

“Va bene Babbo…”

Alba era felice di restare a casa ad accudire suo padre, non aveva voglia di aiutare sua madre nelle faccende domestiche presso la villa della Contessa Ubertini.

Il figlio della contessa, poi, era un giovanotto sgarbato e volgare, non perdeva occasione, durante lo svolgimento dei servizi, di guardarle sotto la gonna o di importunarla. Un giorno, approfittando del fatto che Alba stava sistemando la stalla, l’aveva bloccata contro lo steccato e le aveva alzato le vesti toccandola tra le gambe. Lei si era opposta, ma il giovane era riuscito a farsi strada attraverso la sottoveste. Alba ancora tremava alla sensazione di vergogna che aveva provato quando la sua natura si era bagnata al tocco prepotente delle dita del ragazzo.

Aprì la dispensa e vide che le carote erano terminate: ”non posso preparare il cosciotto al babbo senza carote…” pensò.

Rivolta a suo padre urlò:”Babbooo, vado a prendere le carotine da messere Luigi.”

“Va bene piccina mia…” rispose il padre dalla camera da letto.

Alba uscì, stette alcuni secondi a godere del sole che le riscaldava il viso, era una splendida giornata: non era andata a lavorare e l’aspettava una breve passeggiata per la via dei fruttivendoli, era felice.

Passeggiò spensierata per la strada salutando, di tanto in tanto, questo o quel negoziante, nel paese si conoscevano un po’ tutti.

Entrò nella bottega di messere Luigi, prese due carote ed un cipollotto, voleva preparare al padre un piatto gustoso. Uscì canticchiando dalla bottega quando un urto violento la fece caracollare a terra.

Una mano ruvida l’aiutò a rialzarsi, lei alzò lo sguardo e trasalì.

L’uomo che l’aveva urtata era alto, indossava un saio nero ed il suo volto era nascosto da un altrettanto nero cappuccio.

“Mi scusi gentil donzella…” disse l’uomo incappucciato, “… non ho potuto evitarla, la prego, mi permetta di farmi perdonare!”

“Non fa nulla buon uomo…” rispose Alba spolverandosi le vesti, “ è una cosa da poco.”

L’uomo annuì, armeggiò tra le pieghe del suo saio e ne estrasse un sacchetto.

“Tenga, come risarcimento per la brutta caduta…” disse l’uomo porgendole un sacchetto di iuta legato in cima con una cordicella dorata.

Alba ringraziò l’uomo ed aprì il sacchetto: conteneva una catenina metallica con un ciondolo, al centro era incastonata una pietra rossa, non un diamante, somigliava all’ambra.

La ragazza se la rigirò tra le mani, scorse un baluginio nella pietra.

“La indossi graziosa donzella, le porterà fortuna e gloria!” le disse lo sconosciuto.

Alba mise al collo il ciondolo, emozionata e felice, non era uso a quei tempi per la gente del popolo possedere gioielli ed ornamenti, sorrise allo sconosciuto accennando un inchino di ringraziamento.

Lo sconosciuto la salutò e riprese il suo cammino.

Alba volse i suoi passi verso casa, il ciondolo le pendeva morbido nell’incavo dei seni giovani e sodi, lasciò la piazza principale passando a fianco della chiesa.

La campana iniziò a rintoccare l’ora, un capogiro assalì la ragazza che, barcollando, si resse al muro della chiesa.

“Aiahii….” urlò. La pietra bruciava. Un altro rintocco, di nuovo il capogiro. Corse verso casa, ad ogni rimbombo della campana il mondo si capovolgeva, la realtà circostante sbiadiva per poi tornare vivida.

Ansimando giunse alla porta di casa. Si sedette sugli scalini antistanti premendosi lo stomaco con le mani.

La campana aveva cessato di suonare, Alba alzò gli occhi al cielo, il suo sguardo era diverso, il colore dei suoi occhi era divenuto ancor più scuro. Rise, sguaiatamente, ed entrò.

Suo padre era ancora a letto, chiusa la porta alle sue spalle sfilò la sopravveste e le mutande lasciando indosso solo la lunga veste bianca che le lasciava scoperto, per buona parte, il seno rigoglioso.

Entrò nella camera da letto, suo padre sdraiato guardava fuori dalla finestra.

“Alba, cosa fai seminuda figliola?”

“Oh babbo, fa così caldo oggi, sai? La passeggiata mi ha stancata, posso sdraiarmi sul letto accanto a te?”

“Certo figlia…” rispose Fiorenzo dando una fugace occhiata alla pelle bianca del seno che sbordava dalla scollatura della veste.

Alba si sedette a capo del letto, poggiando la schiena sulla pediera, allargò le gambe portando la stoffa della veste tra di esse.

“E la lepre?” chiese il padre, “non la prepari?”

“Si babbo, fammi riposare un pochino…” rispose Alba iniziando a massaggiare il piede del padre, “tu come stai? Ora la tua figliola ti massaggia le gambe, son tanti giorni che sei a letto.”

Le mani della ragazza iniziarono a massaggiare le gambe del padre, dapprima i polpacci, poi, con movimenti energici, salì verso le ginocchia alzando la sottoveste da notte del genitore.

Alba salì ancora, i suoi palmi massaggiavano le cosce possenti del padre: era un uomo muscoloso, gli anni trascorsi nella bottega del maniscalco lo avevano reso un uomo forte.

Il massaggio si spostò verso l’interno delle cosce, pericolosamente vicino all’inguine dell’uomo. Alba iniziò a sfiorare delicatamente i testicoli del padre, che ebbe un sussulto, al tocco delicato della figlia.

“Alba…” disse l’uomo con la voce flebile, “..che fai? Fermati!”

La ragazza proseguì incurante delle parole del padre. L’uomo le fermò il polso ma la ragazza si liberò con una forza inaspettata lanciandogli uno sguardo minaccioso. Il ciondolo che pendeva tra i suoi seni emise un fugace bagliore. Dinanzi a lui non c’era più una fanciulla innocente: il suo sguardo, nero come la pece, lo fissava impertinente, teneva la lingua poggiata sul labbro superiore della bocca con aria lasciva.

La mano di Alba strinse il membro del padre, lo sentì inturgidirsi tra le sue dita, si portò il pollice alla bocca, lo umettò abbondantemente con la saliva, poi afferrò di nuovo il cazzo muovendo la mano su e giù mentre, usando il pollice insalivato, carezzava il glande con movimenti lenti e circolari.

Fiorenzo scattò in avanti afferrando la figlia per le spalle scuotendola energicamente.

“Basta ora fermati…” urlò, “… basta ti ho detto!”

La ragazza gli afferrò entrambi i polsi, l’uomo gridò sentendo la sua carne sfrigolare al tocco incandescente delle mani di Alba. Il dolore lo fece ricadere sdraiato sul letto.

Sua figlia prese di nuovo il cazzo tra le mani sollevando la veste dell’uomo, avvicinò le sue labbra al glande teso e grosso, lo stuzzicò con la lingua e lo ingoiò tra le sue labbra.

Fiorenzo era terrorizzato, l’essere che era intento a leccargli l’uccello non era sua figlia, non poteva esserlo.

La ragazza alzò la testa guardando con aria maliziosa l’uomo, si sfilò la sottoveste rimanendo completamente nuda, i riccioli neri della sua fica erano fradici.

“Ti piace la tua figliola eh babbino? Ora la tua piccola ti fa godere…” bisbigliò Alba all’orecchio del padre.

“Tu non sei mia figlia, dov’è mia figlia, che ne hai fatto di mia figlia?” urlò Fiorenzo.

Una forza misteriosa fece muovere le lenzuola del letto che, simili a serpenti di stoffa, si annodarono ai polsi dell’uomo legandolo alla spalliera del letto. Fiorenzo era totalmente inerte. Alba si accovacciò su di lui, sopra il suo cazzo duro, con le mani si allargò le terga e si fece scivolare il cazzo del padre nel culo.

“Ohhhh sii, che bel cazzo babbino, non lo avevo mai preso… Tu sei il primo a rompermi il culo sai? Lo vedi come si apre? Lo vedi come sfondi il culo alla tua figlioletta devota?”

“Anche la sua voce è cambiata” pensò Fiorenzo, fissando i grossi seni turgidi di sua figlia ballonzolare eccitanti mentre si muoveva su di lui.

L’uomo sentiva il piccolo sfintere della ragazza stringersi intorno al suo cazzo, contrarsi ad allargarsi ad ogni affondo. Le mani di Alba si poggiarono sul petto dell’uomo che venne bruciato dal calore che sprigionavano.

“Mhhh lo sento…. Lo sento che stai per sborrare…. Ohhhh si! La tua piccola sa cos’è la sborra!” continuò Alba, “… ed oggi paparino sarai tu a farmela assaggiare per la prima volta…”

La ragazza estrasse il cazzo lurido del padre dal suo culo e lo poggiò all’ingresso della fica, spinse.

Fiorenzo poté sentire il sangue della figlia colare sul suo cazzo teso. Era vergine.

Alba urlò, un suono gutturale, non umano, gridava frasi in una lingua sconosciuta, si muoveva come un’ossessa cavalcando suo padre, inerme e terrorizzato.

“Sborra ora… sborra… SBORRRRAAAAA…” lo incitava spingendo sempre di più il bacino verso il ventre del padre, “Ohhhh si sborrami dentro… sborra dentro tua figlia…”

Fiorenzo non si trattenne, venne copioso dentro Alba. Colto dagli spasmi dell’orgasmo iniziò a piangere, la sua piccola era sparita, niente di lei era rimasto in quell’essere.

La porta di casa si aprì, apparve la moglie di Fiorenzo sulla soglia.

“C… co… cosa sta succedendo…” chiese stupita, con gli occhi sgranati, al marito.

L’uomo approfittando del momento di distrazione si catapultò fuori dal letto ed indicando la figlia, ancora nuda e fremente sotto l’effetto dell’orgasmo, urlò con terrore: “DIMONIO… DIMONIO…”

***

Mezzana, 2013

Era pieno agosto, Mara era scesa in paese molto presto, doveva recarsi in comune per avere lo stato di famiglia. Tra qualche mese lei e suo marito, Giulio, avrebbero festeggiato le nozze d’argento. Camminava a passo veloce verso gli edifici del comune, le botteghe iniziavano a tirare su le saracinesche, dai bar arrivava l’odore invitante di cornetti caldi appena sfornati.

“Non ci pensare nemmeno!” pensava tra se, “Niente cornetti! Vuoi mandare all’aria due mesi di dieta?”

Aveva compiuto da poco quarantanove anni, era una donna mora, un pochino bassa di statura: non arrivava al metro e sessanta, ma era ancora piacente grazie alle sue diete ferree ed al suo lavoro al monastero.

Tutta la sua famiglia lavorava al monastero di Monte Crucio: lei si occupava del refettorio e della pulizia dell’ostello, suo marito della manutenzione degli stabili annessi al monastero, sua figlia Carlotta l’aiutava nelle pulizie e si occupava della contabilità nell’ufficio amministrativo della Badessa, Marco, il primogenito. lavorava nell’orto e nelle fabbricerie, dove si producevano gli oggetti artigianali che erano venduti all’interno del monastero a visitatori e turisti.

Il monastero sovrastava Mezzana con la sua imponenza, costruito nel XVI secolo era incastonato nella parete sud di Monte Crucio, ad un’altezza di settecento metri. Eretto sotto il papato di Eugenio IV era stato costruito in tempi record per quel periodo: la costruzione iniziò nel 1431 e si concluse nel 1434.

Ora vi dimoravano sia l’ordine dei monaci Benedettini che quello delle suore della Santa Vergine del Rosario. I due ordini vivevano, rispettivamente, nell’ala ovest e nell’ala est del monastero.

Le cronache riportavano molte leggende riguardo l’enorme complesso, si vociferava che Papa Eugenio IV lo avesse fatto costruire per creare una sorta di alcova, da cui lui potesse scegliere giovani ed ingenui novizi per soddisfare le sue voglie contro natura, altri narravano che il monastero era stato adibito a quartier generale dell’inquisizione.

Nel 2006 una parte del monastero era stata adibita a struttura riabilitativa per condannati con gravi disturbi psichici, personale civile e membri della comunità religiosa operavano a stretto contatto nelle costruzioni esterne alla cinta muraria principale. La struttura era situata ad ovest, costeggiava gli orti e gli uliveti, era composta dall’infermeria e dalla sezione detentiva, un passetto sopraelevato univa le due costruzioni.

Mara arrivò al comune, compilò il modulo di richiesta del certificato e lo consegnò allo sportello. L’impiegato era di una lentezza esasperante, mentre digitava sulla tastiera buttava l’occhio nella scollatura abbondante di Mara. La donna sbuffò spazientita.

Dopo essere uscita dagli uffici comunali si diresse verso il capolinea del bus che l’avrebbe riportata al monastero. Al suo passaggio gli uomini, che sedevano ai tavolini dei bar, si giravano a mirare il suo culo abbondante e tondo, Mara sentiva quegli sguardi su di sé e ne era compiaciuta, era una donna calda, attenta al suo aspetto fisico.

Purtroppo suo marito non apprezzava quella femminilità così curata, negli ultimi anni raramente erano stati insieme nello stesso letto, ed ancor più raramente avevano avuto rapporti.

Il bus la fermò nel piazzale antistante il portone di ingresso del monastero, percorse il viottolo laterale che univa il vialone principale alla foresteria, dove viveva con la sua famiglia.

La casa era vuota, suo marito e i ragazzi erano già al lavoro, si spogliò rimanendo in mutandine e reggiseno, indossò un grembiule blu e si diresse verso l’ostello.

***

Chiesa del Monastero

Padre Alphonse camminava concitato verso l’abside dell’antica chiesa di Monte Crucio, i suoi passi veloci rimbombavano forti nella navata principale. La badessa lo seguiva seria e silenziosa. Suor Brigida era la badessa di Monte Crucio dal 2006, lo stesso anno in cui si era stato istituito il centro di riabilitazione del monastero. Era una donna severa, poco incline alla tolleranza, temuta e rispettata sia dalle suore e che dai monaci.

Erano dietro il presbiterio, sul pavimento c’era un sigillo di pietra scura, in rilievo era rappresentato un leone che schiacciava, con le sue zampe, un serpente dall’aria minacciosa.

“Eccola Madre la vede? È qui, prima era piccolina, ma ora si sta allargando.”

Padre Alphonse indicava un punto del sigillo, gli occhi neri e penetranti della badessa osservarono la crepa, era forse di due centimetri, profonda.

“Da quanto tempo l’hai notata?”

“Sono circa tre mesi madre, durante la messa l’ho vista aprirsi davanti ai miei occhi, poi ne è uscito uno sbuffo di fumo denso e bianco, poi più nulla. Avevo pensato che forse era il fumo dell’incenso ma ieri, parlando con padre Raffaele, ho scoperto che anche lui ha visto del fumo uscire dal sigillo, ed anche padre Giovanni.”

“Va bene…” rispose la badessa, “… vai a cercare Giulio, lo dovresti trovare in foresteria a quest’ora, digli di provvedere a stuccare con del cemento la crepa; digli che è cosa urgente!”

Lasciato il monaco alla sua incombenza la badessa si diresse verso il suo ufficio, vi si arrivava dalla sagrestia. Seduta alla scrivania prese il telefono e compose un numero.

“Si, sono Madre Brigida, la badessa di Monte Crucio, mi metta in contatto con la Santa Sede.”

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