Capitolo [part not set] di 10 del racconto Alessandra

di Monsterdark

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2. Iniziamo dal principio

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Iniziamo dal principio.

Come vi ho detto, vidi Alessandra per la prima volta in un elegante hotel dove teneva un corso di aggiornamento per pochi, selezionatissimi addetti ai lavori.

Tra loro c’ero anche io.

Titolare di uno studio di media grandezza, mi ero distinto nell’ultimo periodo con l’ideazione di un metodo di diagnostica ed intervento da remoto sul alcuni macchinari che aveva di fatto abbattuto i costi di manutenzione senza per fortuna richiedere riduzioni di personale nelle ditte specializzate; insomma, mi ero inventato una bella gallina dalle uova d’oro.

L’età media dei partecipanti al corso di aggiornamento era superiore ai cinquanta, per cui fu abbastanza naturale per me e Alessandra avvicinarci nella pausa caffè e iniziare a dialogare tra noi; da subito ne restai totalmente stregato, oltre a essere molto sexy aveva un’intelligenza brillante e grande sicurezza di sé, ma non cadeva mai nell’alterigia e dialogare con lei era come farlo con un’amica d’infanzia, veniva assolutamente spontaneo. Nel prosieguo della giornata fu divertente giocare con gli sguardi nel tentativo di scoprire chi guardava di più l’altro e convintomi che l’attrazione era bilaterale, le chiesi il numero di telefono, estorcendole la promessa di rivederci.

Che spettacolo la prima volta che uscimmo insieme! Faceva caldo quel pomeriggio e lei indossava un vestitino nero sbracciato che terminava al di sopra di metà coscia, le sue gambe toniche e nude contrastavano col colore del vestito e richiamavano costantemente la mia attenzione. Parlammo per ore, di qualsiasi argomento, mangiandoci un gelato seduti nel parco del Valentino a goderci il sole e la compagnia, scoprendoci l’un l’altro ogni momento un po’ di più. Dopo quel pomeriggio uscimmo insieme alcune sere finché, un sabato pomeriggio, il mio telefono vibrò:

Ale: Sono a casa e mi annoio… che fai?

Io: Lavoravo sulla moto… ma non ne ho troppa voglia…

Ale: Mmm sudato e sporco di grasso… niente male!

Io: Mi toccherà farmi una doccia in effetti!

Ale: Apro l’acqua… ti aspetto…

Io: Arrivo.

Fare l’amore con lei in quella doccia fu dolce e passionale allo stesso tempo. La sua pelle chiara lievemente arrossata dal calore e dall’acqua, i suoi seni, impertinenti e succulenti sotto le mie labbra, che si increspavano di pelle d’oca, il mio sesso affondato in lei e i nostri gemiti di piacere diventati presto grida, mentre l’orgasmo ci cresceva dentro a ondate fino a lasciarci ansimanti e appagati, stretti in un languido abbraccio.

Fu l’inizio di una grande storia d’amore.

Di quelle che ti rivoltano come un guanto, che ti fanno sorridere senza motivo mentre sei in ufficio.

Presto lei si trasferì a casa mia, lasciando il suo vecchio appartamento per rendere il mio covo da scapolo un nido perfetto per una giovane coppia. Eravamo felici ed appassionati, facevamo l’amore ogni volta che si poteva, in ogni luogo: la scrivania del mio studio, la sala d’attesa del suo, i bagni del teatro più importante della città durante una visita guidata… eravamo bravi a distinguere le volte in cui facevamo l’amore da quelle in cui ci scopavamo animalescamente lasciando libero sfogo ai nostri istinti senza farci troppe remore.

Una meraviglia di coppia, direste.

Sì, vi avrei risposto fino a due mesi fa.

Ora, nel preciso momento in cui la mia dolce moglie si fa eiaculare senza protezione dentro la vagina da Ahmed, godendosi le stantuffate potenti e instancabili di Omar nello sfintere, beh ora vi risponderei di no.

Perché?

Come vi dicevo, la nostra intesa sessuale era perfetta e continua, esploravamo le fantasie l’uno dell’altro senza grossi pregiudizi e con il solo desiderio di far felice la persona amata. Non ci facevamo mancare nulla. Probabilmente è per questo che non mi accorsi subito di quello che stava succedendo.

Una sera di fine estate andammo a cena in un pregevole ristorante della collina da cui si godeva una romantica vista di Torino. Serata splendida, cena a base di pesce innaffiata da vino bianco di qualità, atmosfera elegante e Alessandra splendida in un vestito aderente color verde acqua, che risaltava la sua bellissima abbronzatura; la scollatura provocante ma non esagerata richiamava lo sguardo sul suo seno libero da ogni sostegno, tanto che fissando bene si potevano intravedere i capezzoli. La gonna al ginocchio con taglio obliquo fasciava le gambe tornite, che terminavano in un bellissimo sandalo dorato con tacco dodici. Eravamo allegri e anche un pelo brilli, Alessandra mi stuzzicò per tutta la cena, raggiungendo il clou tra il secondo e il dessert:

-Sai, ho un piccolo problemino – mi sussurrò nell’orecchio – stasera non ho messo le mutandine… e bagnata come sono ho paura di macchiare il vestito…

Fu ovviamente come far esplodere una bomba nel mio cervello, in dieci minuti avevo pagato il conto e la stavo letteralmente trascinando verso l’uscita con una mano saldamente artigliata al suo culo. Una volta usciti dal ristorante, ci dirigemmo verso le panchine del parco lì vicino limonando come liceali, le mie mani non stavano ferme un secondo e accarezzavano in continuazione il suo corpo, stringendo e palpando, mentre lei si strofinava spesso sulla mia eccitazione, che ormai tendeva i pantaloni; raggiungemmo la panchina e mi sedetti prendendola in braccio, infilandole la mano tra le cosce e facendola sospirare. Le baciai il collo, le spalle, risalii fino all’orecchio in preda alla lussuria, lei intanto armeggiava per slacciarmi i pantaloni; presa dalla passione, tirò fuori il mio cazzo e, tiratasi su la gonna in vita, si mise a cavalcioni su di me impalandosi. Iniziò a muoversi lentamente, cercando la giusta posizione per agevolare l’amplesso, la mia bocca incollata al suo seno destro che avevo liberato dal vestito. Muovendo poi il viso per cercare più aria, lo vidi.

A circa sette/otto metri da noi, un ragazzo sulla trentina ci osservava, rapito. Era sporco, con vestiti più grandi della sua taglia, logori e lerci, uno di quei ragazzi dell’est Europa che purtroppo spesso si vedono a chiedere l’elemosina nelle stazioni o ai semafori.

Mi bloccai, invitando Alessandra a fare lo stesso.

-​ Ale, quello ci fissa, forse è il caso che ti rivesta.

-​ Mm… no dai… non ora ho troppa voglia… lascialo guardare…

-​ Ma sei matta, e se gli vengono strane idee?

-​ Dai Marco, ho voglia… e poi mi eccita che ci stia guardando… dai scopami…

-​ Non mi sembra il caso!!

-​ Ehi tu che stai guardando!! Goditi lo spettacolo ma stai a distanza, ok? – disse rivolta al guardone, che con il pollice alzato fece cenno d’aver capito.

Alessandra riprese subito a muoversi, richiamando tutta la mia concentrazione al basso ventre… lo ammetto, in un attimo non pensai più al guardone e mi godetti la cavalcata. Lei era scatenata, si mosse con una foga mai vista prima e mormorandomi “mi fa sentire troia sapere che ci sta guardando”, si lasciò andare ad un orgasmo travolgente, inondadomi le gambe con i suoi succhi, seguita a brevissimo dalla mia copiosa venuta.

Ci abbandonammo mollemente sullo schienale della panchina, scossi dai tremiti e sudati; pian piano le nostre menti tornarono lucide e rendendoci conto di essere in un luogo pubblico, anche se deserto, ci rivestimmo velocemente e ci dirigemmo verso l’auto.

Non mi voltai nella direzione del guardone per vedere se era ancora lì. Lo fece Alessandra, notai.

Quello che non notai, fu l’inconfondibile gesto che gli fece lei da dietro la mia schiena, gesto che in qualunque lingua del mondo significa solo una cosa.

“Ti chiamo dopo”.

***

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