Capitolo [part not set] di 10 del racconto Alessandra

di Monsterdark

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Nulla fu più come prima.

Anche se cercavamo di non parlarne e di non darlo a vedere, l’esperienza ci aveva profondamente segnato. Partimmo per la settimana in Madagascar con uno spirito molto differente da quello che mi sarei immaginato, cercando comunque di recuperare una parvenza di normalità, di voltare pagina.

Le giornate in spiaggia si trascinarono indolenti, con Alessandra spesso assente assorta in chissà quali pensieri; di per contro, mille preoccupazioni occupavano la mia mente come il pensiero di Anne e delle possibili ripercussioni fisiche e mentali che poteva averle causato quell’esperienza, la paura che potesse ricapitare, la vergogna per non essere stato abbastanza uomo da difenderci, anche se ammettevo che contro tre uomini armati avrei potuto fare poche cose. Ma la preoccupazione maggiore era per il comportamento che Alessandra aveva tenuto quella notte.

Non ero così ipocrita da incolparla per il piacere che evidentemente aveva provato, io per primo ero ancora scioccato e spaventato dai tre possenti orgasmi avuti mentre venivo stuprato, e so che scossa dalla paura le sensazioni che aveva provato erano state decuplicate trasfigurandola completamente; questo probabilmente spiegava il suo piacere e il fatto che li incitasse.

No, il mio pensiero era rivolto ad un solo particolare di quella notte.

Alessandra era l’unica a non essere stata legata ed immobilizzata.

Perché? Non rappresentava una minaccia per quei bruti, ma neanche io e Anne lo eravamo. Che fosse per poterla violentare con maggiore comodità? Può darsi, ma a quel punto non avrebbero legato Anne in quel modo.

No, c’era qualcosa che mi sfuggiva. Qualcosa che era successa mentre ero svenuto, un anello mancante nella catena di eventi di quella notte.

Avevo paura a chiedere ad Alessandra, riaprire la ferita così presto avrebbe potuto essere devastante per entrambi e l’ultima cosa che volevo era incrinare quel sottile equilibrio che era venuto a crearsi, proprio ora che il cambiamento di aria e il posto incantevole stavano pian piano facendo sembrare l’accaduto sempre meno reale. Negli ultimi tre giorni tornarono le risate e una parvenza di spensieratezza.

Al rientro in Italia, attesi da parenti e amici, all’apparenza tutto era nella norma, eravamo una felice coppia di sposini appena tornati da una fiabesca luna di miele, abbronzati ed innamorati.

Ma la realtà era diversa. Dalla notte dell’aggressione non avevamo più fatto l’amore e i miei velati approcci erano stati tutti rispediti al mittente con mal di testa o stanchezza; sapevo che in realtà questa astinenza era dovuta allo shock e mi ripromettevo di provare a parlarne con Alessandra, magari portandola un weekend alle terme per affrontare il discorso con calma e senza traumatizzare nessuno; purtroppo però i ritmi frenetici di entrambi non ci permisero di farlo, così la nostra astinenza si prolungò per più di tre mesi, tra malumori miei e seccate risposte di diniego da parte sua.

Poi, un mercoledì, mi telefonò il nostro amico e compagno di giochi Carlo:

– Carlo, carissimo, come stai?

– Alla grande, sposino! Tu tutto bene?

– Ma quale sposino, dai! Ormai siamo già quasi da rottamare!! Ah ah!!

– Ma senti, com’è che siete a Mantova e non ci avete detto niente? A saperlo si organizzava una mangiata assieme! Giulia non ve lo perdonerà mai!

– Carlo, ma che dici? Io sono a Torino in ufficio, mica a Mantova…

– Ops, scusa, non sapevo Alessandra avesse clienti anche qui in città, si vede che non me l’ha detto quando ci siamo visti.

– Carlo, scusa, ma non capisco cosa stai dicendo, Alessandra non ha clienti lì a Mantova.

– Cazzo… Marco, scusami tu, non so come dirtelo… ma Alessandra è qui a Mantova, l’ho appena vista entrare in un hotel, ne sono sicuro!

Mi si gelò il sangue nelle vene. La mia Alessandra, che dieci minuti prima avevo sentito per telefono e che mi aveva salutato di fretta con la scusa che la stessero chiamando in sala riunioni nel suo studio, in realtà era a Mantova.

Dovetti sedermi e per un paio di minuti non mi resi conto di nulla di quello che mi succedeva intorno. Mi riscosse il telefono dell’ufficio a cui risposi meccanicamente.

– Marco stai bene?!? Mi hai fatto preoccupare, che è successo? Non mi rispondevi più stavo per chiamare un’ambulanza!! – mi disse la voce concitata di Carlo da dentro al telefono.

Pian piano, ricominciai a ragionare. Chiesi a Carlo di piantonare l’hotel dove era entrata mia moglie e di farmi sapere quando sarebbe uscita, di seguirla non visto e di vedere che avrebbe fatto. Le quattro ore successive volarono via in un battibaleno, io seduto alla scrivania del mio ufficio come un vegetale non mi mossi né feci alcunché, attesi e basta. Poi il trillo del telefonino e sentii Carlo bisbigliarmi:

– Alessandra è uscita dall’hotel in compagnia di un uomo che non ho mai visto circa dieci minuti fa. Ora sono in un ristorante del centro e li hanno raggiunti due ragazzi di colore che chissà dove hanno pescato, da come sono vestiti mi sa che scaricano la verdura ai mercati generali. Stanno ordinando e io non so più come nascondermi, quindi sono costretto ad allontanarmi. Mentre Alessandra era in bagno a lavarsi le mani mi sono avvicinato all’uomo e gli ho fatto una foto, così vedi se lo conosci. Ora mi allontano, ti mando la foto e più tardi ti chiamo.

Ero distrutto. Mia moglie passava quattro ore in un hotel di un’altra città, in compagnia di un uomo e mentendomi su dove si trovasse in realtà. Fare due più due non era mai stato così semplice. Ero cornuto. Attesi con ansia la foto che Carlo aveva scattato per poter dare un volto al mio odio e quando arrivòm, nell’immediato non lo riconobbi. Senza i vestiti più larghi del dovuto, ripulito e ben pettinato, con un sobrio ma elegante vestito grigio, sembrava una persona rispettabile e anche un bel ragazzo; difficile quindi riconoscere in lui il guardone che ci aveva osservato scopare su quella panchina ormai una vita fa.

Non sapevo che fare. L’istinto mi diceva di prendere il primo treno per Mantova e lì compiere una mezza strage; per fortuna quella tentazione durò pochissimo. Uscii dall’ufficio in cerca di aria e di idee, parlai con Carlo che mi ragguagliò sul fatto che Alessandra in compagnia dei suoi amici era rientrata in hotel e che lui abbandonava il pedinamento per impegni di lavoro, informandomi anche che se avessi voluto avrei potuto trovare un rifugio sicuro a casa loro e suggerendomi che forse sarebbe stato opportuno contattare discretamente un divorzista. Lo ringraziai infinitamente e tornai mestamente in ufficio. Due ore dopo, arrivò un messaggio da Alessandra:

– Amore sono stanchissima, mi schiavizzano qui!

Le risposi:

– Non ne dubito. Ma spero che comunque ti sia piaciuta Mantova.

Spensi il cellulare e mi buttai sulla poltrona girevole piangendo affranto.

Mi risvegliai attorno alle 20 ancora sulla poltrona nel mio ufficio. Mai come in quell’occasione ringraziai di lavorare da solo. Avevo recuperato un po’ di lucidità e mi resi conto che avrei dovuto affrontare Alessandra; speravo non avrebbe negato l’evidenza e che mi avrebbe dato delle spiegazioni, ero consapevole che il mio matrimonio era sull’orlo del baratro ma dentro di me l’idea di lasciare Alessandra per sempre era comunque straziante. Nel tragitto verso casa pensai a come avrei affrontato l’argomento, mi preparai il discorso un centinaio di volte per essere sicuro di non tralasciare nulla di quello che volevo dire, ma quando arrivai di fronte alla porta il cervello era vuoto, ogni idea era come volatilizzata. Entrai, guardingo, in casa mia. Chiusa la porta, sentii la voce di Alessandra arrivare dalla camera da letto, il tono leggermente imperativo che non lasciava trasparire nessuna emozione.

– Marco vieni qui. Dobbiamo parlare.

Obbedii, e lentamente mi diressi verso la camera da letto.

Alessandra era in piedi vicino al letto, il piede destro appoggiato sul letto. Aveva i capelli legati in una coda alta e indossava un corpetto di pelle che le valorizzava il seno e arrivava a coprirle a malapena l’ombelico; lunghi stivali anch’essi di pelle nera con un tacco vertiginoso le arrivavano a metà coscia. Non indossava altro. La sua pelle chiara risaltava nel contrasto con gli indumenti neri e il suo sesso glabro e morbido era eroticamente esposto dalla posizione che teneva; nella mano destra, un frustino completava il suo look. Ebbi una potente e istantanea erezione, era l’immagine più erotica e lussuriosa che avessi mai visto e i miei pensieri per un paio di minuti sparirono completamente. La osservai incantato, ogni singolo centimetro di quello splendido corpo, per qualche momento, poi di nuovo quel tono freddo e imperativo:

– Siediti, se vuoi una spiegazione.

Stregato, ancora una volta obbedii.

– Spogliati nudo.

Deglutii e obbedii.

La sua espressione era dura, ferma, solo un lampo di quella che sembrò soddisfazione le attraversò lo sguardo quando vide il mio cazzo durissimo, al massimo dell’erezione.

– Sdraiati.

Obbedii ancora.

Iniziò ad accarezzarmi con il frustino nel più assoluto silenzio, scorrendo lentamente su tutto il mio corpo, facendomi uno stuzzicante solletico; accarezzò con esso anche il mio sesso, che ebbe un tremito ed iniziò a secernere liquido prespermatico; ero eccitato come poche volte nella mia vita.

Lei salì in piedi sul letto, all’altezza del mio pube:

– Quindi sai che oggi sono stata a Mantova.

– Sì, lo so.

Lei si piegò sulle ginocchia, la sua figa che sfiorava il mio cazzo.

– Beh allora sai anche che oggi ti ho tradito – disse, e contemporaneamente si impalò in un solo colpo sul mio sesso, infilandoselo fino alla radice. Il contrasto tra le sue parole e il caldo del suo sesso attorno al mio fu semplicemente devastante, il mio cazzo si indurì ancora di più cercando l’orgasmo, ma la mia mente in subbuglio non lo permetteva.

– Vedi, il guardone di quella sera sulla panchina, in realtà è un mio amico di infanzia, si chiama Joan. Joan ha il cazzo più grande che io abbia mai visto e da quando abbiamo quattordici anni scopiamo ogni volta che possiamo. Anche dopo che ti ho conosciuto e mi sono innamorata di te, abbiamo continuato perché stare lontana da lui mi è impossibile. Quella sera ha voluto assistere ad un nostro amplesso per divertimento e abbiamo organizzato quello spettacolino. – Mentre parlava, piccoli movimenti del suo bacino mi mantenevano costante l’erezione senza però stimolarmi troppo. – Ho cercato di smettere di vederlo, dopo che io e te ci siamo messi assieme, sostituendo le emozioni che lui mi dava con quelle che vivevo quando facevamo gli scambi di coppia con Carlo e Giulia; ma inevitabilmente tornavo da lui e inevitabilmente godevo con lui come non riuscivo a fare in altri modi.

Io ero inebetito da quanto sentivano le mie orecchie e il mio cazzo. Il contrasto mi mandava letteralmente nel pallone e pendevo dalle sue labbra.

– Quando in Sudafrica ci hanno assalito, io non ho opposto resistenza. Volevano legarmi, ma quando ho visto le dimensioni degli arnesi di quelle guardie, il fatto che non mi sfogassi con Joan da due settimane mi ha fatto letteralmente buttare su di loro eccitatissima, implorandoli di fottermi. Non ne sono molto fiera, ma ho goduto moltissimo, quasi come con Joan. A quel punto ho voluto provare ad essere posseduta da tanti uomini come è successo in Sudafrica, solo che uno di loro doveva essere Joan. È stato incredibile, amore. Mi hanno letteralmente sfondata. Ho urlato così tanto che ho mal di gola al momento… orgasmi continui e lunghissimi e loro che non smettevano mai di pompare! Incredibile, davvero, non pensavo si potesse provare così tanto piacere! – mentre parlava aveva aumentato il ritmo dei movimenti; il crescendo di verità dolorose che mi stava propinando, andava di pari passo con il climax di piacere che arrivava dal mio sesso.

-Marco, io ti amo da morire – continuò – ma non posso più tornare alla normalità dopo aver provato un piacere simile. Ne ho bisogno. Sarai sempre mio marito, la nostra vita non cambierà, ma d’ora in avanti ogni tanto io dovrò rivivere quelle emozioni. Sarai al mio fianco in quei momenti? – il movimento del suo bacino ora era frenetico e il mio sesso pronto ad esplodere – Sarebbe un sogno averti lì con me, perché no anche partecipe… ma sappi che comunque io mi organizzerò e parteciperò a queste sessioni di sesso selvaggio, che tu venga con me oppure no. Verrai a fare il bravo cornuto e guardare tua moglie scopata da quattro uomini come la peggiore delle cagne?

Non ce la feci più. Le mie resistenze cedettero di schianto e artigliando il suo culo con le mani tanto forte da lasciarle i segni, venni urlando scaricando una quantità infinita di sborra.

Mi abbandonai distrutto sul letto. Lei lasciò che pian piano il mio sesso si ammosciasse e poi si sfilò da me.

– So che hai goduto come non mai, mio piccolo cornuto. Se vuoi riprovare queste emozioni, io fra dieci giorni ho appuntamento con Joan e gli altri per farmi scopare come si deve. Se vuoi venire, sei il benvenuto. Se no fai come ti pare.

E così, miei cari amici, arriviamo al presente. Sono passati dieci giorni da quando Alessandra mi ha confessato di essere incontrollabilmente affamata di sesso e io ho pian piano superato il trauma. Aveva ragione a dire che non avevo mai goduto così, prima, e capisco che le sensazioni che prova ad essere riempita da quei cazzi giganteschi contemporaneamente in ogni orifizio, beh io non potrò mai dargliele. Negargliele sarebbe un gesto incredibilmente egoista da parte mia. Alla fine è solo sesso, lei ama solo me e io devo essere felice di questo.

Quello che mi ha fatto non merita punizioni o vendette, per cui eccomi qui ad osservarla per farla completamente felice.

Oppure no?

***

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