Capitolo [part not set] di 8 del racconto ICVM

di Cigno

— LA CARBONARA —

La via del Mirto n° 46 intreccia le vite di studenti
annoiati, insoddisfatti dalle proprie vite, spesso lontani da casa e per lo più
smarriti in un sistema, quello metropolitano, che li aliena e li mette a dura
prova.

Questo era vero per Francesco, che si svegliava tardi e si
addormentava tardissimo ogni giorno.

Innamorato della ragazza della porta accanto, Ilaria, che
tuttavia viveva una relazione complicata con Federico, adultero e dal cervello
piatto come una piadina.

Questo era vero per Andrea, che continuava il suo periodo di
ignavia e fuggiva dalle relazioni per colpa di chissà quale timore reverenziale
nei confronti della stabilità emotiva.

Questo era vero per Alessandra che, illusa dalla possibilità
che Andrea potesse in qualche modo svegliarsi e affrontarla in un confronto
diretto, si dedicò esclusivamente allo studio cercando di non pensarci.

In questo paradosso comunicativo, dove tutti vivono a pochi
metri di distanza l’uno dall’altro senza esprimere a vicenda le proprie emozioni,
abbiamo due isole felici che apparentemente hanno poco a che fare con il resto
dei nostri protagonisti.

Da un lato la piccola, introversa e riflessiva Paola.

Dall’altro la robusta, istintuale e aperta Maria Rita.

Due ragazze agli antipodi, senza alcuna caratteristica in
comune.

Paola studiava medicina. Figlia unica e prediletta, aveva
deciso di vivere lontano dalla famiglia sebbene lei abitasse nella loro stessa
città. Certa delle sue passioni e dei suoi obbiettivi, la sua vita si alternava
tra studio e università, almeno apparentemente.

Maria Rita, che invece studiava Giurisprudenza ed era
all’ultimo anno, era una ragazza proveniente da lontano. Addirittura da
un’altra regione. Il legame con la famiglia, sebbene distante, era parecchio
intenso. Si sentiva con sua madre giornalmente. Aveva tre fratelli e una
sorella. Esisteva un gruppo whatsapp chiamato “the family” che aveva creato lei
e che sostanzialmente aggiornava quotidianamente con tutto quello che faceva.
Ometteva alcune cose, certo, ma solo per non destabilizzare troppo i suoi
familiari legati ad una tradizione parecchio conformista. Se ne avesse avuto
opportunità, avrebbe raccontato loro anche i fatti privati più accesi.

Paola era negata in cucina. Maria Rita, invece, aveva mani
esperte. Il loro primo punto di incontro, da quando quasi contemporaneamente si
trasferirono nella casa dei coinquilini circa un annetto prima, era dunque il
cibo.

Maria Rita cucinava ogni sorta di manicaretto esistente a
firma del territorio splendido da cui proveniva. Paola, che di fatto non era
mai uscita di casa prima della decisione di passare il periodo universitario
lontana dai genitori, apprezzava e mangiava.

Maria Rita spesso stava fuori casa. Usciva praticamente ogni
sera. Aveva una vita sociale parecchio movimentata, al contrario della sua
controparte Paola che, subendo l’ambiente competitivo della Scuola di Medicina,
spesso si limitava a uscire solo in occasionali rimpatriate con gli amici del
liceo o del suo quartiere d’origine.

Maria Rita cucinava per lei perché si sentiva un po’ la
sorella maggiore. La persona che meglio poteva darle consigli su come sfruttare
la propria giovinezza.

Avevano quasi quattro anni di differenza, che in un contesto
di giovani Ventenni universitari era un abisso. Paola, d’altra parte, vedeva
nei tratti estrosi e quasi caciaroni di Maria Rita dei momenti di fuga dalle
proprie abitudini.

La loro convivenza fu il pretesto. Le loro diversità furono
il collante. Gli eventi che seguiranno invece, sono da considerarsi la miccia
che ha cambiato le loro vite.

Una sera Maria Rita stava cucinando la carbonara. Un
tradizionale piatto per universitari golosi.

“Stai usando la pancetta o il guanciale?” chiese Paola.

“Per chi mi hai preso, brutta stronza?” – rispose senza
mezzi termini Maria Rita – “Non esiste carbonara senza il guanciale.” aggiunse.

“Mia madre la fa spesso con la pancetta. Quella a dadini.
Alla fine che differenza fa?” replicò Paola.

Maria Rita si allontanò dai fornelli e minacciò Paola con la
cucchiaia di legno.

“Tua madre dovrebbe fare altro, nella vita. Cucinare la
carbonara con la pancetta, al paese mio, equivale ad una condanna a morte.”
disse Maria Rita.

“Esagerata.” rispose Paola, noncurante della minaccia.

Maria Rita battè il cucchiaio sulla spalla della
coinquilina. “Ahia!”

“Non te ne faccio assaggiare neanche un po’.”

“Ok, non mi menare…! Mi fido. Sarà più buona…!” disse
Paola, dolorante.

“No non è più buona! Cazzo. E’ come dire ‘la cioccolata è
più buona della merda’. La merda è merda. Non bevi la cioccolata perché più
buona di qualcos’altro. La bevi perché è l’unica cosa che si può chiamare
cioccolata. E la cioccolata ha un sapore stupendo.”

“Ok.”

“Bene. E ora zitta e assaggia.” Maria rita avvicinò a Paola
una cucchiaiata di guanciale croccante direttamente dalla padella.

Paola si allungò per raggiungere con la bocca il cucchiaio e
assaporò il guanciale rosolato a puntino.

Chiuse gli occhi e masticò lentamente il sapido sapore
altamente pepato e dannatamente gustoso.

Era pura poesia. Decise che avrebbe avuto ragione lei, come
sempre.

Mangiarono 120 grammi di pasta l’uno e bevvero vino. Durante
la loro cena arrivarono a più riprese i vari coinquilini, attratti dal
formidabile odore. Nonostante Maria Rita avesse offerto loro una porzione,
nessuno accettò. Ultimamente sembrava avessero ognuno un diavolo per capello.

“Sono tutti strani in questo periodo…” Disse Paola.

“Sai, l’ho notato anche io…evidentemente è il periodo
esami.” Disse Maria Rita mentre beveva un sorso di vino.

“Quindi dici che anche noi dovremmo stare più tempo a
studiare?” Chiese Paola.

“No, noi invece ce ne sbattiamo e usciamo.” Disse Maria
Rita.

Non volle sentire scuse. Paola ammise che era tardi, la cena
aveva appesantito troppo. Il vino dava alla testa. L’indomani sveglia presto.

Nessuna delle giustificazioni di Paola fu accettata. Maria
Rita la obbligò a vestirsi e ad andare con lei per locali.

—LE PASSIONI—

 

Erano le 11. Per strada ormai quasi più nessuno. Erano
coperte e imbacuccate per via del freddo e del vento. Paola aveva il suo berretto
alla francese, adatto alla sua capigliatura a caschetto biondo. Portava una
insolita giacca bianca e un foulard rosso. Colori estremamente accesi e
gioviali.

Maria Rita invece era saldamente al sicuro con la sciarpa
attorno al collo e il bomberino beige.

Ella aveva già scelto l’itinerario.

Sarebbero andate al Bangla per prendere una birra. Poi di
corsa verso il centro nel locale dove suonavano dal vivo gruppi indie rock.
Poi, se la cosa buttava storta, sarebbero andati a fumare erba nel giardino
vicino all’Università.

E se la fame tornava incombente, un Kebab in piazza e birra
della buonanotte.

Paola era frastornata. Si rese conto di non riconoscere
nessuna delle straduzze che abilmente intraprendeva Maria Rita per accorciare.

“Questa birra sembra liquore!” disse Paola, sconcertata.

“Su dai, non è neanche la più pesante che esista. Solo 9
gradi…”

“Esistono anche di più forti?”

“Così tante son le cose di cui tu non immagini neanche
l’esistenza…” rispose Maria Rita.

La passeggiata proseguì tra discorsi vari e soliloqui sugli
alcolici. Alle ragazze piaceva soprattutto commentare e dare giudizi sui
passanti.

“Hai visto quello? Sembra uscito dagli anni ’30. Cappello
borsalino e cappotto lungo.”

“Già, sembra quasi un investigatore privato!”

“E di quello che mi dici? C’avrà almeno trent’anni e porta
ancora i capelli a cresta.”

“Secondo me ne ha circa 40.”

Arrivarono al locale dove suonavano Indie. Capitavano giusto
nella serata in cui si esibiva un gruppo jazz-fusion.

Si sedettero e continuarono a bere. Stavolta Maria Rita
scelse il vino mentre Paola continuò con la birra.

“E così, dunque, scrivi! Una scrittrice…” disse Maria
Rita, finemente sarcastica.

La domanda era: Quali sono le tue passioni? Come impieghi il
tuo tempo?

“E’ così… mi piace scrivere.” rispose Paola.

“E cosa scrivi? Trattati di Anatomia?” la derise Maria Rita.

“Un po’ di tutto… mi esercito. Scribacchio, più che altro.
Faccio esperimenti. Collego fatti. Invento storie. Leggo un po’ qua e un po’
là. Creo dei collage e mi alleno a scrivere… tutto qua.”

“Capisco… perché non mi hai mai fatto leggere nulla?”
disse Maria Rita.

“Non ne abbiamo parlato fin ora… diciamo che sono
abbastanza riservata.” rispose Paola.

Maria Rita capì che la discussione era difficile da mandare
avanti, vista la reticenza di Paola.

“Beh, invece la mia passione penso tu lo sappia…” disse
Maria Rita.

“Il cazzo.” Rispose lapidaria Paola.

“Ehi!” esclamò Maria Rita, dandole uno scappellotto.

“Ahia! Scusa, ma lo dici sempre!” replicò Paola dolorante.

“Beh ma così sminuisci…!A me piace il sesso. La
sessualità. La sua armonia. Il suo calore. Adoro farlo e adoro parlarne. Non è
solo una questione di cazzo. Cioè, per carità. Quello anche…” disse Maria
Rita, visibilmente orgogliosa.

Paola la guardò, sorridente. Era vero.

Maria Rita aveva una vita sessuale estremamente attiva. Ben
diversa la situazione di Paola che, tutt’al più, scriveva.

Parlarono dei loro tipi ideali, delle loro esperienze, dei
loro aneddoti. Divenne quasi un monologo di Maria Rita.

Dopo le esperienze proprie, sembrava opportuno parlare delle
esperienze di terzi.

“Che poi io non mi capacito: Secondo me Alessandra dovrebbe
avere una fila di ragazzi davanti la sua porta.”
“Perché dici così?” Chiese Paola mentre beveva la sua Heineken, certamente più
leggera.

“Perché è bella. Di sicuro una delle più belle del suo
corso. Ha un fascino e una intelligenza come poche.” rispose Maria Rita che si
dondolava a ritmo di contrabbasso.

“Si, lo so che è bella. Ma ha anche un carattere parecchio
riservato… e poi l’hai detto tu tante volte: L’intelligenza frega.”
“Si, è vero. L’intelligenza frega. Soprattutto parlando di maschi. Tuttavia lei
è perfino più intelligente delle normali persone intelligenti. Saprebbe
sfruttare la sua bellezza meglio di chiunque altro.”

“Ok, quindi stai dicendo che io non sono bella oppure non
sono intelligente.” Disse Paola, quasi offesa ma tutto sommato curiosa di
sapere la risposta.

“Amore, tu sei una piccola provincialotta che ha testa e
anche un bel corpicino, solo che non sai sfruttare né l’uno né l’altro.”

“Ah questo dunque pensi di me? Ti ricordo che chi viene dal
paesello sei tu! Io ci abito da sempre in città…”

“Certo. Dimmi di nuovo tutte le stradine che abbiamo
percorso questa sera.” Replicò Maria Rita in sicurezza.

Colpita e affondata.

“Ok. Ma secondo me lei è troppo presa dallo studio. Non ha
tempo per pensare ai ragazzi…”

“Forse il concetto non ti è entrato nella testolina: Non
esiste il ‘tempo’. Esiste solo il qui e ora.

Esiste solo l’opportunità. E quando l’opportunità si presenta,
tu la cogli. Se non la cogli, allora ricevi la mia critica. E io sono una
critica inesorabile.” Concluse Maria Rita.

“Ok, come dici tu. E allora io per te cosa sono? Una
puritana? Una che perde tempo?” chiese Paola.

“Tu sei uscita con me stasera. Sei meritevole di lode,
almeno in questo…” rispose Maria Rita.

Paola meditò per qualche minuto sulle parole di Maria Rita
quando ad un certo punto il suo sguardo si posò su un individuo.

“Mari… ma quel tipo non è quello di poco fa?”

“Chi?”

“Quello laggiù, col cappello.”

Era lo stesso individuo anni ’30 avvistato per strada.
Cappotto e borsalino.

“Si, è lui.” confermò Maria Rita.

“Secondo te ci ha seguito?”

“Ci fissa da almeno venti minuti.”

“Come?”

“Ho detto che ci fissa, NON lo guardare cazzo. Ho detto che
ci sta fissando da circa una ventina di minuti. Fai finta che non te l’abbia
detto.”

“E secondo te perché ci fissa?”

“Perché siamo donne. Siamo piacenti. Siamo sole.
Probabilmente è un pervertito. Ignoralo.”

“Ma ci sono tante donne in questo locale. Perché proprio
noi?”

“Perché da qualcuno si deve pur cominciare.”

Paola era in qualche modo a disagio. La situazione per Maria
Rita invece era parecchio elettrizzante.

“Mari… il tipo si sta avvicinando.” disse Paola,
apparentemente impaurita eppure stranamente curiosa.

“Tranquilla. Lascia fare a me.” rispose Maria Rita.

L’uomo col cappello si avvicinò al tavolo delle ragazze. Era
elegante. Un cappotto nero lungo, un cappello borsalino di ottima fattura. La
camicia bianca e la cravatta anch’essa nera.

Avrà avuto circa 35 anni, da quel che si poteva intuire
dallo sguardo scuro e penetrante e dalla barba incolta ma allo stesso tempo
messa lì in un ordine ben definito.

Lo sguardo era serio ma risoluto. Tranquillo. Non si
mostrava minaccioso e per nulla ubriaco o molesto.

Guardava con insistenza Paola.

“E’ libera questa sedia?” Chiese.

“Si, certo. Può prenderla.” Disse Maria Rita, sotto uno
sguardo interrogativo di Paola.

“Grazie.” E si sedette.

Maria Rita era piuttosto sorpresa. “Ah, scusi, intendeva
sedersi con noi?” chiese.

“In realtà sì.”

“Non credo avesse chiesto se poteva sedersi con noi. Lei ha
soltanto chiesto se la sedia fosse libera.”

“Certamente. Ritengo opportuno far notare il fatto che io
fossi seduto esattamente lì.” fece notare l’uomo indicando l’altro lato del
pub. “E so che ne siete al corrente perché è da qualche tempo che state qui a
guardarmi.”

“In verità è lei che ci fissa come un maniaco da venti
minuti. Se permette, vorremmo rimanere soli io e la mia amica.” disse Maria
Rita.

“Vi ruberò soltanto un attimo.” disse l’uomo, senza staccare
gli occhi di dosso da Paola.

Rovistò dentro il cappotto per qualche secondo e tirò fuori
una penna.

Prese un tovagliolo del pub e scrisse sopra qualcosa.

Maria Rita era stranita. Guardò Paola che appariva gelida e
improvvisamente silenziosa. Sembrava ancora spaventata ma il suo sguardo ora
appariva estremamente concentrato sulle mosse dello strano figuro.

L’uomo scrisse una parola soltanto.

 

— L’OMBRA —

 

Maria Rita guardò il foglio con indifferenza. Poi cercò di
trovare risposta nello sguardo deciso e sicuro dell’enigmatico tizio. Vide che
non staccava gli occhi di dosso da Paola. Iniziò a turbarsi.

Cercò disperatamente lo sguardo di Paola che stava lì a
leggere la parola scritta sul tovagliolo.

L’ombra.

Paola guardò diritta negli occhi dell’uomo col cappello. Il
suo viso era tramutato.

La giovane e inesperta Paola sembrava essere completamente
svanita nel nulla.

“Che cazzo significa? Chi cazzo sei tu? Che cazzo di
cappello hai?” Si intromise Maria Rita, impotente.

I due si guardarono ancora per qualche secondo. La tensione
era palpabile.

Poi Paola parlò.

“Ciò che del Cigno non sa volare, nuota nel mare senza
affogare.”

Questo disse la ragazza, senza distogliere lo sguardo.
Parola per parola, scandite come macigni. Aveva una voce pacata, sicura di sé.
Di certo, non la Paola di qualche attimo fa.

“Dunque ti ho trovata. Bene.” Disse l’uomo, soddisfatto.

“Non credevo ci riuscissi. Un po’ ho sperato ma sinceramente
era alquanto improbabile.” rispose Paola.

“Non era impossibile trovarti. In verità la parte più
complessa è stata risolvere il gioco. Bella trovata. Hai qualcos’altro per me,
Elbe?” chiese il misterioso uomo in cappello chiamando Paola con quello strano
nome.

“Sì. Ce l’ho. Tienilo a mente perché lo dirò una volta
sola.”

“Ok. Hai tutta la mia attenzione.”

Paola si schiarì la gola. Avvicinò il busto al tavolo,
reggendosi sui gomiti. A pochi centimetri di distanza dal volto dell’incognito,
si leccò le labbra per staccarle l’una con l’altra e soppesò le sue parole con
cura.

“Essenziale è ciò che non vedo d’estate ma vedo d’inverno.”
disse Paola, sorridendo in un modo che Maria Rita non aveva mai visto prima.

“Bene, Elbe. La prossima volta avrai la tua risposta… ora
però devo andare. S’è fatto tardi.” disse L’uomo.

“Credo che anche noi dovremmo ritirarci, non è vero Mari?”
disse Paola.

Maria Rita rimase interdetta. Senza parole. Completamente
paralizzata.

“Vero, Mari?” ribadì Paola, scuotendola leggermente.

“E’ vero. Si…” Disse Maria Rita quasi per inerzia.

L’uomo si alzò e abbassò il cappello in segno di saluto.

“Aspetta… non mi hai detto come vuoi che ti chiami.” lo
fermò Paola.

“In onore al quesito con cui sono riuscito a trovarti, puoi
chiamarmi Cigno.” disse l’uomo col cappello, andandosene.

Paola lo guardò allontanarsi, dopodiché osservò il
tovagliolo. dietro la scritta “OMBRA” c’era anche un contatto mail.

Prese il tovagliolo e si alzò. “Andiamo, Mari. Non stare lì
impalata, su!”

 

Maria Rita era abbastanza irrequieta. Guardava Paola con
circospezione e sospetto.

“Elbe?”

“Già.”

“Che gioco era, quello?”

“Una stupida sfida. Niente di che.”

“Non puoi fare la santarellina per un anno e poi spuntartene
con una vita segreta tutto assieme.” disse quasi con esasperazione Maria Rita.

“Non ho una vita segreta. E’ soltanto un gioco…”

“Ormai sei costretta a dirmelo.”

Paola guardò Maria Rita. Si assicurò che rimanesse in
confidenza tutto quello che si erano detti.

“Tengo alcune corrispondenze con i lettori del mio blog. Ti
ho già detto che scrivere è la mia passione…”

“Continua.”

“Spesso capita di proporre loro degli enigmi. Indovinelli.
All’inizio per lo più enigmi che trovavo su internet. Alcuni spesso
rispondevano quasi subito. Era chiaro che la soluzione fosse facile da trovare.
Bastava ricercare il quesito su google.

Iniziai dunque ad inventarli. Lì allora cascavano tutti. In
pochi rispondevano e molto spesso la risposta era sbagliata.

Allora, per fomentarli, iniziai a dire loro come fossi
fatta, come ero vestita e dove vivevo. Un gioco. Tutto qui. Un sacco di persone
sono come me in questa città.

Ogni settimana l’indovinello cambia. Non mi interessava più
sapere chi di loro risolveva i miei enigmi. Mi interessava sapere se mi
avessero trovato. Volevo capire fino a che punto la gente si scervellasse nel
cercare in giro qualcuna come me.

Fatto strano è che nessuno di loro ci sia mai riuscito. Io
da circa un anno non vivo più in casa con i miei.

Studio e sto quasi sempre chiusa nella mia stanza, tranne
che quando vado all’Università. Sono rari i momenti in cui mi ritrovo fuori.

L’indovinello proposto la scorsa settimana era quello che mi
hai sentito dire in risposta alla soluzione scritta da Cigno nel tovagliolo.

Il fato ha voluto che questa sera tu mi costringessi ad
uscire. Mi sono dunque vestita coerentemente con la descrizione che diedi di me
allegata al quesito: berretto francese, giacca bianca e foulard rosso. Ed ecco
che, insomma, l’improbabile è diventato realtà.”

“Che storia. Dunque non è vero che ciò che scrivi lo tieni
per te…” disse Maria Rita.

“Beh, si e no. Molte cose non le pubblico. Altre sì, sotto
uno pseudonimo: Elbe.” rispose Paola.

“Scusami se te lo chiedo: Se qualcuno ti avesse trovata con
la soluzione sbagliata oppure con la soluzione di un enigma precedente?” chiese
Maria Rita.

“Semplice. Se la soluzione fosse stata di un quesito
vecchio, io avrei avuto un vestiario diverso, quindi non poteva trovarmi. Se la
soluzione fosse stata errata io avrei semplicemente detto che non avevo idea di
che cosa stesse dicendo e l’avrei scacciato come farebbe qualsiasi altra
persona.” rispose Paola.

“Capisco. E ora? Che intendi fare con Cigno?” chiese
curiosamente Maria Rita.

“Penso nulla. Non userò la sua mail. Se vorrà rispondere al
prossimo quesito, dovrà prima trovarmi.” rispose Paola.

“C’è da fidarsi?”

“Non ci ha seguito, fin ora. Penso d’essere abbastanza
convinta che sia un tipo ok.”

“Stiamo comunque all’erta.” disse Maria Rita.

 

Tornate in casa, era notte fonda. Paola salutò Maria Rita e
si diresse in camera.

Con molta attenzione, accese il computer e aprì la sua
casella di posta.

Digitò tra i destinatari l’indirizzo che Cigno le aveva
scritto sul tovagliolo.

[Oggetto: L’ombra del Cigno]

“Caro Cigno,

Mi hai trovata. Non credevo potesse accadere realmente. Non
so chi tu sia, non so se tu mi abbia seguita. Non so se tu effettivamente vivi
in questa città o sia venuto apposta per cercarmi. So solo che tu mi hai
trovata e hai indovinato il mio quesito.

Ti confesso che mi sono emozionata parecchio, anche se le
emozioni che mi hai suscitato non sono state solo positive.

Ho voglia di prenderti a schiaffi. Vorrei dirti che sei uno
schifoso, uno squallido depravato.

Hai tradito la mia intimità. Avrei voluto che rimanessi
nell’ombra, come appunto la soluzione dell’enigma. Avrei preferito che tu non
ti rivelassi mai. Che rimanessi una fantasia della mia mente.

E invece ora sei reale, in carne e ossa. E costringi me ad
esserlo tanto quanto.

Ti odio.

Tuttavia, sarò leale al nostro accordo. So bene cosa c’è in
palio. Non uno stupido  indovinello. Ho
scelto io le regole e io devo essere la prima a rispettarle.

L’accordo prevedeva che, se qualcuno fosse riuscito a
trovarmi e a darmi la soluzione dell’enigma, io avrei concesso loro di
chiedermi qualsiasi cosa per un periodo di tempo limitato. Una sola domanda al
giorno.

Dunque eccomi, Cigno. Sono qui. Ti è concesso chiedermi
qualsiasi cosa. Puoi sapere tutto di me.

Potrai farlo per una settimana. Scegli attentamente le sette
domande da pormi.

Mi sento vulnerabile, in un certo senso nuda. Sto sudando
nonostante il freddo. Non sprecare una delle domande chiedendomi che cosa avrò
fatto questa notte, dopo il nostro incontro.

Te lo svelo subito, come prova che adesso il patto è
ufficialmente saldato: Mi sono appena spogliata di tutto. Mentre ti scrivo sono
assolutamente nuda, stavolta letteralmente. Una volta chiuso il pc mi
addormenterò pensando al nostro breve incontro.

Non sei sembrato particolarmente giovane, ma probabilmente
lo sei. Il vestito anni ’30 potevi risparmiartelo.

Eri affascinante, in qualche modo. Hai giocato bene la carta
del misterioso detective.

Sì, mi masturberò pensando a quanto possa essere strana la
vita.

Mi masturberò pensando a te mentre cerchi di risolvere il
mio prossimo indovinello.

Perciò, evita pure di domandarmelo. Ormai questo lo sai.”

Elbe

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