Capitolo [part not set] di 11 del racconto Le mie vacanze in montagna

di Carol89

Dunque eravamo lì. Ero sdraiato, massaggiato dalle bolle e ammorbidito dall’acqua caldissima. Ammorbidito al 90%: un bel 10% di me era tutt’altro che morbido. Sebbene l’acqua lo nascondesse, potevo vedermelo con gli occhi della mente, e potevo sentirlo: il mio cazzo duro, in tiro, era alto, dritto come un periscopio, teso verso la superficie dell’acqua – che per fortuna non raggiungeva. E pochi centimetri accanto a me c’era il corpo interamente nudo di mia madre. Era come se lui lo fiutasse…

Per qualche minuto restammo in silenzio, immobili, cullati dalle bolle. Osai aprire gli occhi un paio di volte, per sbirciare accanto a me: mamma Nicoletta era ad occhi chiusi, un’espressione rilassata in volto. I capelli bagnati, raccolti in una coda stretta, erano appiccicati ai lati della fronte, leggermente scomposti dalla cuffia che aveva usato fino a poco prima. Dall’acqua emergevano soltanto le spalle, nude e affusolate. Il resto – per mia fortuna – era ben nascosto dalle bolle e dall’acqua.
Poi, d’improvviso, le bolle cessarono. L’idromassaggio, che evidentemente era a tempo, era cessato.
Aprii gli occhi sorpreso e guardai mia madre. Lei aveva aperto gli occhi a sua volta e mi sorrise.
– È scaduto il tempo, ma possiamo farlo ripartire quante volte vogliamo – mi rassicurò. Così dicendo, si girò verso di me: vidi le sue spalle che ruotavano, capii che si stava appoggiando con una mano sulla panchetta immersa. Alzò l’altra mano, fuori dall’acqua, e a quel punto con un’occhiata riconobbi il suo obiettivo: i comandi dell’idromassaggio, dietro alle nostre teste. Lei allungò la mano e il braccio fuori dall’acqua e, per poterli raggiungere, si sollevò e si distese oltre il bordo della vasca. Così facendo, emerse dall’acqua con mezzo busto.
Io rimasi impietrito. Di fronte a me, fissavo metà del busto di mia mamma, grondante d’acqua. In particolare fissavo la sua tetta sinistra. Nuda, lucida d’acqua, era emersa all’improvviso, proprio davanti ai miei occhi. La vedevo quasi di profilo, un po’ allungata perché lei aveva il braccio teso. La fissai ammaliato, in trance.
Era piccola. Più piccola di una tetta di mia sorella. Mi venne subito quel paragone, non saprei dire perché. Piccola, ma di forma pressoché perfetta: coppa di champagne, credo si dica in questi casi. Appuntita, soda, con il capezzolo carnoso proprio sulla cima, come il picciolo di un frutto. La vidi oscillare, tremolare leggermente, per via dei movimenti di mia madre, che intanto girava una manopola, schiacciava un bottone, faceva il necessario insomma per far ripartire l’idromassaggio.
Le bolle ripresero. Mia mamma ritirò il braccio, riportò la mano sott’acqua, ma rimase nella posizione in cui era, appoggiata all’altra mano, sollevata e girata verso di me. Mi guardò sorridendo:
– Bella l’idea dell’idromassaggio, no? – mi chiese, soddisfatta.
Io la guardai negli occhi, sorrisi a mia volta, meccanicamente.
– Sì… – risposi con la voce un po’ rotta, che faticava a uscire. Deglutii a forza.
La sua tetta nuda era sempre là, fuori dall’acqua, di fronte a me. Ai margini del mio campo visivo. Appena lei tornò a girarsi, spostai lo sguardo e la fissai di nuovo. La seguii con gli occhi mentre si assestava sul petto, e quando lei tornò a sedere dritta, magicamente… vidi emergere dall’acqua anche l’altro seno.
Mia mamma si era seduta più dritta, rispetto a prima. Chinò indietro il capo, più di prima, per appoggiare comodamente la nuca, ma questa volta le spalle erano più dritte, ed emergevano di più dall’acqua. E così anche le tette.
Non erano del tutto scoperte. Quando si fu assestata, quello che vedevo era l’attaccatura del seno, la parte superiore, fino ai capezzoli, anch’essi scoperti all’aria. La metà inferiore delle mammelle era immersa nell’acqua. Le bolle d’aria che scoppiavano tutt’attorno facevano muovere l’acqua che lambiva i capezzoli, si infrangeva sulla sua pelle liscia, chiara – notai il segno dell’abbronzatura su entrambe le mammelline.
Inutile dire che le mie reazioni a quell’evoluzione della situazione furono… beh, piuttosto intense. Il cazzo, già duro, mi diventò di marmo. Lo sentivo che tirava fortissimo, rigido, eretto come un palo. I miei occhi continuavano ad aprirsi e lanciare sguardi al mio fianco, a quelle splendide tettine mezze scoperte. Davvero, erano loro a farlo, autonomamente: non decidevo di aprire gli occhi, semplicemente mi si aprivano. E guardavano là.
Ok, erano le tette di mia madre. Quelle che tanti anni prima avevo succhiato. Ma in quel momento, sono sincero, non me ne fregava niente. O anzi, forse proprio per quello mi attraevano ancora di più: ero come magnetizzato. Erano splendide, non le avevo mai viste – almeno non da parecchi anni – ed era incredibile pensare che mia mamma, proprio mia mamma, avesse un corpo e delle tette così meravigliosi, femminili, attraenti… Insomma, qualcosa di ancestrale dentro di me mi richiamava, mi faceva superare ogni tabù, mi attraeva verso quel corpo femminile vicinissimo e nudo.
Non avrei saputo dire quanto tempo passò. Mi sembrò un attimo, pochi minuti, ma ci fu un segnale oggettivo che disse diversamente: il timer dell’idromassaggio si arrestò, di nuovo. Dovevano essere passati altri dieci minuti.
Prontamente, ma senza fretta, mia mamma si raddrizzò, sollevando la schiena, passando da distesa a seduta. Seduta sulla panchetta, accanto a me, dritta, l’acqua le arrivava ancora più in basso di prima, all’incirca allo stomaco. Le tette erano fuori dall’acqua, entrambe, completamente.
Adesso aveva le spalle leggermente curve in avanti, le braccia raccolte in grembo: insomma, potevo vedere molto meno di prima. Intravidi le due tettine nude, appese sul petto, ma erano quasi del tutto celate alla mia vista. Lei girò il capo verso di me:
– Tutto bene? Sei rilassato? – mi chiese.
Che cavolo di domanda! No mamma, non sono per un cavolo rilassato, anzi!
– Sì sì… – risposi invece, vago.
D’un tratto mi venne in mente che, con l’idromassaggio fermo, l’acqua poteva essere di nuovo trasparente… guardai in basso, ma per fortuna la stanza scura rendeva la superficie dell’acqua pressoché impenetrabile. Era un bene: altrimenti la mia erezione sarebbe stata perfettamente visibile.
– Facciamo un altro giro? – mi chiese. Senza aspettare risposta, proseguì: – Stavolta lo metto sulle gambe.
Si girò verso di me, e si allungò dietro di noi, come prima, per raggiungere i comandi. Come prima, ma molto più dritta di prima: il suo torso era adesso fuori dall’acqua almeno dallo stomaco in su. Entrambe le tette, nude, oscillarono sul suo petto davanti ai miei occhi, i rosei e carnosi capezzoli ondeggianti, mentre lei, con il braccio steso e quindi con il petto ben aperto verso di me, impostava i comandi. Un’esibizione in piena regola: davvero lei non aveva particolari imbarazzi, se anche suo figlio vedeva qualcosa… sembrava non farsi problemi.
D’altra parte, devo ammettere, fu una questione di pochi secondi. Il tempo di impostare i comandi, poi subito tornò a girarsi, seduta dritta come prima. Appoggiò le mani alla panchetta, sott’acqua, e le braccia furono di nuovo due colonne ai suoi fianchi, sufficienti a celare alla mia vista il piccolo seno.
Il getto dell’idromassaggio ripartì un attimo dopo. Questa volta lo sentii uscire dal basso, dietro i polpacci, e subito dopo anche da sotto le cosce: bolle morbide, sparate con discreta forza, che mi massaggiavano le gambe per tutta la lunghezza e, inevitabilmente… salirono subito ad avvolgermi anche le palle e il pene già in erezione.
Provate voi ad avere il cazzo già duro, e sorbirvi un intenso massaggio di morbide bolle che lo sfregano per tutta la lunghezza nell’acqua caldissima. Potete immaginare i livelli che raggiunse la mia erezione?
Ero alle prese con quelle nuove intense e inattese sensazioni, quando l’artefice di quel nuovo programma, accanto a me, si lamentò.
– Ma… il tuo è partito? Il mio non parte!…
Nicoletta sbirciò dalla mia parte, guardando le bolle che salivano copiose in superficie. Provò a muovere le gambe, capii che stava dando dei calci sott’acqua alle bocchette d’aerazione: niente, il suo lato dell’idromassaggio era muto.
– Ma che cavolo! Dalla mia parte non funziona!
Rimasi interdetto, ma lei, rispetto a me, ha un carattere molto più deciso: è una che i problemi li risolve. Io sono uno che ci pensa su a lungo.
Si mosse. D’improvviso, sott’acqua, sentii la sua mano posarsi sulla mia coscia sinistra, quella più vicina a lei. La sua mano sulla mia coscia nuda. Si appoggiò, si chinò leggermente verso di me, allungò un piede e toccò il mio piede: lo scostò, per sentire il getto d’aria che usciva dal mio lato.
– Il tuo funziona… – commentò.
Io ero immobile, paralizzato. La sua mano, sulla mia coscia, era a tipo venti centimetri al massimo dal mio cazzo in piena erezione. Nudo.
– Uffa!
Era scocciata. L’idromassaggio stava andando e lei se lo stava perdendo. Ritrasse la mano, tornò al suo posto. Io, come liberato da un peso, ritrovai la parola:
– V-vuoi… se vuoi farlo tu… facciamo cambio – proposi. Non mi importava poi molto. Anzi, forse liberarmi dalla morsa di quel massaggio pseudomasturbatorio non richiesto sarebbe stato assai meglio…
– No, dai… – disse lei pensierosa, e poi, illuminandosi all’improvviso: – Dividiamocelo!
Mi sorrise, felice di quella soluzione. Io credo invece di aver assunto un’espressione di puro terrore. Ma lei, se mai la vide, non ci badò per nulla.
Subito si mosse, fece scivolare il sedere sulla panchetta, avvicinandosi a me. Una, due scivolate ed eravamo già uno accanto all’altra. Con la terza scivolata, di assestamento, sentii la pelle nuda del suo fianco venire a schiacciarsi contro il mio. La sua coscia contro la mia coscia.
Tornò a mettermi una mano sulla coscia, nello stesso posto di prima.
– Vai un pochino più in là – mi chiese, o forse mi ordinò.
Io ero un automa. Per niente contento di quell’evoluzione, ma del tutto incapace di reagire, di oppormi. Scostarmi da lei, comunque, era un’ottima idea, alla quale aderii prontamente.
Scivolai con il sedere (nudo) un po’ più a destra, e subito lei mi imitò, tornando a far combaciare i nostri fianchi e le nostre cosce.
In tutto ciò, abbassando lo sguardo, potei vedere i suoi seni nudi, ora molto più vicini di prima, e quindi visibili appena dietro al suo braccio. Le tette a punta, con i capezzoli carnosi sulla cima, dondolavano proprio accanto a me, sul suo petto.
Porca miseria.
Sentii i suoi piedi nudi muoversi, sfregare contro i miei, mentre lei cercava con le gambe i getti d’aria. L’idea – immagino – era di usurpare i miei, ma senza sottrarmeli: voleva che li utilizzassimo entrambi.
– Ma da dove esce?? – mi chiese, pressante.
– Eh… da… sotto… dietro i polpacci…
– Sì ok… e poi?
– Sotto le cosce…
– Quella non mi arriva!
Automaticamente mi spostai ancora un po’, per farle spazio. Allontanarmi dal suo corpo era il mio automatismo, il mio istinto di fuga da una situazione pericolosa.
Come prima, lei copiò subito il mio movimento, tornando ad aderire a me. La sua mano intanto era scivolata in basso, sul mio ginocchio, perché in quella posizione riusciva a starmi più vicina, e quindi più vicina ai getti d’aria.
Io intanto ero ormai schiacciato contro il bordo della vasca. Da un lato ero contro il corpo nudo di mia mamma, dall’altro contro le fredde piastrelle. Non potevo allontanarmi più.
Lei non sembrava comunque soddisfatta. Muoveva le gambe, inquieta, alla ricerca dell’aria migliore.
– …Ti arriva?… – le chiesi, dando voce alla sua inquietudine.
– Mmm poco. Ma più in là c’è un altro getto?
– D-dove?…
– Aspetta…
Così dicendo, senza perdere tempo a spiegarmi, sollevò la gamba destra e la mise a cavallo del mio ginocchio sinistro. Superò il confine, insomma: sentii la sua coscia soda appoggiarsi di peso sulla mia, e il suo piede infilarsi in mezzo ai miei, in cerca d’aria.
– Ma… dai… – provai a protestare. Lei rise.
– Dai, non tenerti l’aria tutta per te! – mi disse, un po’ scherzando e un po’ no. – È qui? – chiese, riferendosi al getto.
– S-sì…
Allungò il piede e, per centrare meglio il getto, sollevò il sedere dalla panchetta, facendo scivolare la sua coscia sulla mia. Sentii la sua natica destra appoggiarsi sul mio fianco, premere contro di me.
E poi accadde l’inevitabile conseguenza. Lei si spostò dalla mia parte e su di me talmente tanto, che, appoggiando mezzo sedere sul mio fianco e facendo scivolare ancora la coscia sulla mia, il suo fianco arrivò a toccare il mio inguine.
Io ero paralizzato. Avete presente gli insetti e la tanatosi? Sì, quando si bloccano, come morti, per non farsi beccare da un predatore? Ecco, io andai in tanatosi: immobile, tipo rigor mortis.
Il mio pene saliva in verticale, modalità periscopio. Quindi il suo fianco sfiorò le mie palle, e la base del pene, la parte bassa. Non so se lei lo sentì, se capì di cosa si trattava. Era tutta intenta a cercare l’aria, e divertita da quel gioco scemo tipo Twister.
– Adesso la sento – dichiarò finalmente. La posizione, però, era decisamente eccessiva. E nemmeno particolarmente comoda per lei.
– A te arriva ancora? – mi chiese.
– Sì… ma… poco… – risposi lentamente, con la voce un po’ impastata. Mi girava un po’ la testa.
– Senti ma non posso sedermi in braccio a te? – sbottò allora. Come se fosse quella la logica soluzione, quella a cui puntava fin dall’inizio. E come se io mi fossi fino a quel momento opposto.
Figurarsi. In quel momento non avevo la forza per oppormi neanche al volere di una formica.
Non risposi niente. Tentennai, muto, a bocca aperta, senza trovare le parole. Tutto ciò che feci fu stringermi nelle spalle, e tanto bastò a lei come risposta.
– Almeno l’aria arriva a tutti e due – disse, giustificando la decisione, e intanto diede seguito al suo piano.
Sollevatasi ancora di più dalla panchetta, chinandosi in avanti, alzò il sedere (sempre tenendolo immerso in acqua) e lo fece volare sopra le mie cosce. Vidi la sua schiena nuda, lunga, dritta e forte, ora proprio di fronte a me. E poi sentii le sue natiche nude, il suo culo, appoggiarsi sopra alle mie cosce.
Sedette su di me, di peso. Il suo sedere morbido ma perfettamente sodo premette sulle mie cosce, deformandosi morbidamente. E arrivò a sfiorarmi le palle, e di nuovo la base del pene, da davanti. Le sue gambe nude si intrecciarono alle mie, una in mezzo una di fianco, i piedi si toccarono: entrambi attingevamo ora dalle stesse bocchette dell’aria.
Mia mamma è più alta di me. Io ora vedevo di fronte a me la sua schiena dritta, nuda, torreggiante. Mi si parava davanti, celandomi la vista di tutto il resto: ma la mia mente, maledetta, corse comunque ad immaginarsi il davanti, cosa avrei visto da osservatore esterno. Il suo petto nudo, il busto dritto. Le sue gambe leggermente divaricate, intrecciate alle mie, dovevano far sì che avesse le cosce aperte, almeno un poco, e in mezzo… in mezzo non indossava gli slip del costume, dunque era nuda anche là. E leggermente aperta.
Mio dio. Abbassai lo sguardo alla superficie opaca dell’acqua, tormentata da bolle che scoppiavano. Là sotto, invisibile, c’era il mio pene dritto, che saliva verticale fino a poco sotto la superficie. E appena davanti a lui, lei: mia madre nuda su di me.
– Così sei comodo? – mi chiese, provocatrice. Mi canzonava.
– In…somma – riuscii a pronunciare, deglutendo a metà parola.
– Io sì! Dai almeno lo usiamo tutti e due.
– Vabbè… – quel tono poco convinto era la massima protesta che riuscivo ad esprimere.
– Ahh, io sono come in poltrona… – disse poi lei, divertita. E così dicendo, si lasciò andare lentamente all’indietro, verso di me: vidi la sua schiena avvicinarsi, sentii il suo sedere posarsi indietro… in men che non si dica, era fatta: si appoggiò di spalle contro di me, sul mio petto.
Mi ritrovai così con lei stesa all’indietro, la sua testa accanto alla mia, su una spalla. La sua schiena curva era appoggiata sul mio petto e sul mio ventre, ma soprattutto… la parte bassa della sua schiena e il suo sedere, erano appoggiati di peso sul mio pene eretto, e lo schiacciavano contro la mia pancia.
Oddio. Adesso non poteva non sentirlo. O forse… o si confondeva fra tutto? Poteva non accorgersi? Ma io… porca miseria, io la sentivo eccome! Sentivo il suo corpo premere sui miei genitali, sul mio cazzo già durissimo…
– Ma dai… – protestai flebilmente.
Lei sorrideva, ad occhi chiusi.
– Eddai… mi fai un po’ da poltrona, no?
Guardai verso il basso. Da sopra la sua spalla potevo vedere il suo petto nudo, i piccoli seni bagnati e scoperti, appuntiti. Osservai i capezzoli carnosi, circolari, piuttosto piccoli. Almeno in quel momento.
Mai avrei pensato di trovarmi in una situazione simile. E non avevo idea di come uscirne.

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