di Altramira
Parte nona – Psicologia dell’umiliazione
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Federica sembrava non aver più pace. Il suo corpo desiderava ardentemente avere un orgasmo, ma in quella settimana, che seguì il banchetto con le conoscenti della contessa, vi furono solamente sottili provocazioni, che le destarono il desiderio ancora di più. Sola a casa o a passeggio per la città e la campagna, dovette sottostare come al solito a rigide regole sull’abbigliamento. Era stata controllata a distanza tramite un cellulare e non poteva fare altro che obbedire a quegli ordini che le mettevano solo il fuoco addosso, senza peraltro darle alcuna possibilità di spegnerlo. Le fu ordinato di recarsi in particolari luoghi e toccarsi, poi come il telefonino squillava doveva smettere e rispondere. Immancabilmente le veniva data un’altra destinazione da raggiungere sempre a piedi, o al limite tramite i mezzi pubblici extraurbani, se si trovava fuori città. Là, alla nuova destinazione ricominciava il tormento.
Le cose andarono avanti in questo modo per tutta la settimana, tutti i giorni per otto nove ore al giorno. La maggior parte del tempo la passava a camminare, ma le soste erano sempre molto calde. In quella settimana non vide nessuna delle assistenti della contessa. La voglia era al culmine e lei avrebbe infranto i patti, se non fosse stato per quell’articolo che da troppo tempo aspettava. Il messaggio fu chiaro, la settimana seguente sarebbe stata ancora più intensa e lei avrebbe dovuto provare la sua “onestà” alla contessa, continuando nelle pratiche della negazione dell’orgasmo. Ma fino a quando la contessa aveva intenzione di torturarla in quel modo? Avrebbe aspettato che il suo fisico cedesse a interminabili dolori? O l’avrebbe liberata prima? A Federica quello non era dato saperlo… sapeva solo che avrebbe dovuto vestirsi e andare alla villa. Quella volta le fu mandata un’auto. Ad attenderla l’autista, una ragazza molto giovane e Debora, una donna dai lunghi capelli scuri sulla trentina, che sedette sul sedile posteriore dell’auto con lei. Fu subito chiaro che la prova sarebbe cominciata lì.
Appena chiusa la portiera dell’auto di lusso, Debora mise i seni di Federica a nudo e prese a stuzzicarle i capezzoli che immediatamente divennero turgidi. Giocò parecchio con quelli, tirandoli, a volte anche in maniera poco delicata, stuzzicandoli dolcemente, mordicchiandoli e facendo scivolare la propria mano sotto il cortissimo vestito bianco, facendo così piombare la giornalista in un puro stato d’estasi, mentre massaggiava le sottili mutandine di cotone, che Federica aveva ricevuto assieme al vestito e alle scarpe.
-Ti prego, smettila- implorò la giornalista.
-”Ti” prego?- ribatté Debora, mettendo un particolare accento sul fatto che la donna si era rivolta a lei dandole del tu.
-Mi perdoni, ma mi sta facendo impazzire.
-È quello che voglio. Il progetto prevede che tu, cagnetta, arriverai a non poter fare più a meno di queste pratiche. Una vera dipendente da sottomissione. E non fare quella faccia, ci sei già dentro fino al collo… e ti piace da impazzire, si vede… non riesci già più a farne a meno.
Federica ascoltava, tra un mugolio e l’altro e si rendeva conto che Debora le stava dicendo la semplice verità. Non riusciva più a pensarsi senza quella parte di se stessa che si eccitava particolarmente ogni qual volta doveva obbedire a un ordine. Era diventata una droga… una potentissima droga di cui non riusciva più a fare a meno.
Arrivate alla villa, Debora la condusse attraverso il giardino sul retro, fino a una piccolissima casupola, aprì una porticina di legno e la spinse dentro. All’interno era tutto in disordine. C’era una branda con sopra un materasso lercio e un paio di coperte di lana ruvide e anch’esse sporche, il pavimento era in uno stato pietoso di sporcizia e l’odore all’interno era parecchio sgradevole. Sul soffitto le ragnatele coprivano quasi per intero la visibilità. Non c’erano finestre.
-Levati i vestiti della contessa di dosso e infila quella- ingiunse Debora con tono severo, indicando una sorta di straccio ammucchiato in un angolo a terra.
Federica, per i motivi cui aveva pensato prima lei stessa, non osò ribattere. Si spogliò completamente e raccolse lo straccio, che si rivelò essere una specie di sottoveste, ricavata da qualche vecchio vestito di maglina di cotone. Era sottilissima e molto stretta per lei, ma abbastanza elastica da essere indossata, nel suo punto più lungo arrivava a malapena sotto le natiche.
-Questa sarà la tua cuccia. Rimarrai qua dentro per tutto il tempo che la contessa desidererà. Mangerai in una ciotola, come tutte le cagne degne di questo nome. Per i tuoi bisogni… ti porteremo fuori due volte al giorno, quindi vedi di non farli qua dentro. Se rompi le palle ti leviamo anche la branda e dormirai a terra. Ora accomodati pure.
Così detto, tenendo gli indumenti che Federica si era tolta su un braccio, uscì e diede quattro mandate di serratura alla porta. Il buio calò. Quella prima notte fu assolutamente allucinante. Le lucine rosse che indicavano la presenza di due telecamere nella casupola “cuccia”, la rassicurarono un poco e la fecero desistere dalle proprie tentazioni carnali. Si svegliò quando, in piena notte, qualcuno bussò forte alla porta e si aprì uno spiraglio sul fondo della stessa, dal quale venne introdotta una ciotola per cani, colma di una cosa disgustosa e dalla consistenza di purè.
-Mangia tutto o è peggio per te. E non usare le mani.
Fu tutto quello che ascoltò da una misteriosa voce di donna, al di là della porta. Fu un supplizio. Davvero non riusciva a inghiottire quella poltiglia schifosa, ma alla fine lo fece, conscia di essere seguita in ogni suo movimento dalle telecamere, probabilmente munite di visuale agli infrarossi. Non sapeva quanto ci aveva messo a mangiare, ma le parve che fosse passato parecchio tempo. Il lezzo dentro quel posto era tale da impedirle quasi di chiudere occhio, ma alla fine la stanchezza prese il sopravvento e s’addormentò. La mattina la svegliarono di buon ora e, legatale una corda a strozzo al collo la portarono qualche metro più in là per estinguere i propri bisogni. Federica dovette di necessità compiere tutto davanti agli occhi delle due ragazze. Non le aveva mai viste e si chiese intimamente, quante donne fossero al servizio della contessa. La vergogna salì anche in maniera visibile, arrossandole completamente il viso, quando le due si misero a far commenti su quello che stava facendo. Le fu permesso di pulirsi e quindi fu riportata nella cuccia, dove dovette rimanere in piedi e con le braccia sulla testa per buoni quarantacinque minuti, nell’attesa di una visita della contessa in persona.
-Dormito bene?- chiese la contessa non appena arrivata.
La giornalista non rispose.
-Bene. Sdraiati per terra e mostrami quella fica pelata che ormai mi appartiene.
Federica si rese conto che il linguaggio della contessa era cambiato, ma inaspettatamente questo modo rude di trattarla la eccitava ancor più. Eseguì.
-Ma che brava cagnetta che sei diventata. Aprile bene quelle gambe che devo osservare meglio.
Le cosce di Federica si spalancarono. La contessa indossava guanti di lattice, che sembravano essere stati preventivamente lubrificati. S’accosciò e prese ad accarezzarle il sesso.
-Come sta la mia fica, cagnetta?
-Bene Signora Contessa.
-Mi fa piacere. E ora…
Il dito indice della mano sinistra della contessa, premette sull’ano di Federica e poco a volta vi si introdusse, fino a fondo. La giornalista emise un mugolio.
-Ecco, brava! D’ora in poi sono i soli suoni che voglio sentire uscire dalla tua bocca. Intesi!? Federica annuì con la testa.
-Brava, vedo che ci siamo subito capite.
Il dito lavorò nell’intestino, lasciando la giornalista a bocca aperta, bocca dalla quale uscivano copiosa saliva e mugolii di piacere.
-Eri vergine qua dietro. Me ne sono accorta.
Un secondo dito s’affiancò premendo al primo ed entrò. Il mugolio parve più di fastidio che di piacere.
-Non preoccuparti, so già che ti piacerà immensamente.
Indice e medio, scorrevano lentamente all’interno delle viscere di Federica. I mugolii aumentarono. La contessa cominciò a schiaffeggiare il sesso della donna, dapprima lievemente, poi sempre più violentemente, fino a farlo arrossare. Nel frattempo le dita scivolavano dentro e fuori dell’ano, lasciando a Federica la sensazione di aver scoperto un nuovo modo di godere.
-La prego, Signora Contessa… posso venire?
La contessa sorrise e si fermò, estraendo totalmente le dita. Tre schiaffi furono inferti con forza al sesso della giornalista.
-Ti ho detto che voglio sentire solo i tuoi mugolii da cagna in calore. Ma sembra che tu non capisca. Ragazze..- disse poi rivolgendosi alle due accompagnatrici -ve la lascio per un’ora. Quando torno la voglio vedere rossa, gonfia e voglio vederla in lacrime.
Federica tremava. Ma le due assistenti della contessa non ebbero pietà alcuna. Indossati guanti di gomma da giardiniere, cominciarono a schiaffeggiare il sesso della malcapitata, dandosi il cambio e senza mai fermarsi. Arrivò davvero il momento delle lacrime, che scesero numerose a causa del dolore e del bruciore che Federica stava provando adesso sul sesso. Dopo un’ora esatta la contessa tornò, controllò il lavoro, lodò le ragazze e se ne andò con loro, chiudendo nuovamente nel buio più completo Federica. Quella notte fu digiuno e così il giorno seguente. Le uniche persone che Federica vide furono solo le sue accompagnatrici per l’ora dei bisogni, due volte al giorno. Il quarto giorno la contessa riapparve. Questa volta le venne ordinato di mettersi a quattro zampe, faccia a terra, schiena incurvata, sedere ben in alto e in fuori e gambe larghe.
-Siano ben chiare due cose- cominciò la contessa -tu sei una cagna in calore di mia proprietà.-
Fece una pausa per rimarcare che quella era la prima cosa che doveva essere chiara.
-Tu mugoli solo, ti posso concedere di abbaiare quando stai per venire, per avvertirmi. Chiaro!?
Federica annuì con la testa.
-Se sbagli sarai punita molto più severamente della volta scorsa.
La giornalista annuì ancora. I guanti lubrificati penetrarono l’ano ancora una volta, un dito, poi due. Federica resistette poco, poi abbaiò.
-Non mi fermo, devi imparare a resistere di più.
Federica si sforzò e magnanimamente poco dopo la contessa si fermò. Era più importante la sua “terapia” che non il fatto che la giornalista imparasse a resistere. Passarono infine i giorni che dividevano l’inizio della settimana dall’inizio del week-end. Il trattamento fu sempre lo stesso: cinque volte al giorno, agli orari più impensati e diversi, Federica veniva sottoposta alla masturbazione, senza avere la possibilità che questa sfociasse in orgasmo. La domenica mattina un’ennesima assistente della contessa, dalle fattezze marcatamente orientali, la prelevò dalla cuccia, la portò nelle docce, la lavò, la addobbò con un vestiario sexy ed elegante e la presentò alla contessa stessa. La contessa ammirò il vestito bianco, aderentissimo e corto, le calze autoreggenti e le scarpe bianche con tacchi alti, ma non esagerati.
-Andiamo- disse.
La nuova ragazza orientale, Yushiko, la fece salire in auto. L’autista fermò davanti alla stazione ferroviaria. La contessa e Yushiko scesero e fecero scendere Federica. La giornalista era frastornata. Perché la stavano portando alla stazione?
-Cammina- le ingiunse Yushiko.
La condussero fino alle toilette, dove tre donne del servizio pulizie stavano aspettando. La contessa le pagò e loro chiusero la porta dei bagni. Federica si trovò in mezzo a quelle donne nei bagni degli uomini, aveva vergogna per quello che sarebbe successo, anche se non ne aveva assolutamente idea. -Quanto desideri poter godere, puttanella?- chiese la ragazza orientale. La giornalista continuò a guardarsi attorno.
-Lo desidero molto, Signora.
Yushiko sorrise.
-Beh, non è ancora il tuo momento. Levati questo vestito.
Federica obbedì immediatamente. Aveva ormai acquisito questo meccanismo automatico. Non fiatava e obbediva. Lasciò cadere il vestito a terra e la contessa le rivolse uno sguardo di approvazione. Fu fatta inginocchiare e le donne presenti cominciarono a ridere. S’accorse che il pavimento era bagnato e lurido, ma non si trattava certamente di acqua. Prendi in bocca il vestito e comincia a pulire, non vedi che qualcuno ha pisciato a terra? Federica si sentiva intrappolata, aprì la bocca e morse il vestito, poi cominciò a muoversi a quattro zampe per i bagni, strofinando quello che ormai era già diventato uno straccio, sul pavimento.
-Brava. Ora vai a pucciarlo in quei pitali appesi al muro, strofina per bene, perché devono diventare lucidi.
La sua umiliazione cominciava a diventare quasi insopportabile, si sentiva la più lurida delle troie in circolazione. L’odore di urina era tremendo e faceva fatica a stare vicina. Yushiko si avvicinò e le spinse la testa dentro uno dei pitali.
-Ti ho detto che li voglio lucidi, razza di cagna in calore. Hai già la fica tutta bagnata, ti eccita eh questo lavoro?
Federica se n’era accorta di essere bagnata e di questo si vergognava, non riusciva a capire, come una cosa del genere potesse eccitarla, ma la realtà dei fatti era proprio quella. Continuò, “aiutata” da Yushiko, fino a che non ebbe pulito tutti i pitali di ceramica a muro. E ora toccava alle turche, ma per magnanimità le fu concesso di tenere il vestito straccio con le mani. Era sudata, eccitata e rossa dalla vergogna.
-Bene, pare che ci siamo. Ma ora bisogna dare ancora una passata con il mocio. Yushiko impartiva ancora lezioni. -Alzati. Federica eseguì senza fiatare. Yushiko prese un barattolo di unguento da una borsa e cominciò a spalmarlo sul manico del bastone del mocio. Un bastone di legno lucido e largo. -Brava cagna. Ora piegati e apri bene le gambe. Fedrica si piegò leggermente in avanti, tenendo le gambe larghe. La ragazza orientale s’avvicinò, tenendo il manico del mocio. La giornalista sentì premere contro l’ano e poco alla volta percepì il legno duro che la penetrava.
Cominciò a muoversi, lavando il pavimento. Il bastone era dentro di lei per un buon tratto, le dava fastidio e le procurava eccitazione allo stesso tempo. Le ci volle almeno mezz’ora per finire il lavoro.
-Ora rimettiti quello straccio.
Federica guardò la contessa che aveva assistito con immenso piacere a tutta la performance della sua nuova schiava. Gli occhi fermi le confidarono che anche lei desiderava che si rivestisse con quel luridume. Il vestito bagnato era diventato trasparente. Uscirono dai bagni e si diressero verso i binari. C’era un treno regionale e lo presero. Appena il treno partì Yushiko cacciò la giornalista di forza dentro il bagno. -Non ti pare che questo cesso abbia bisogno di una pulita? -Sì, Signora- rispose la giornalista. -Bene allora usa lo stesso straccio di prima. Federica tolse il vestito e cominciò a strofinare il pavimento lurido. Yushiko prese la mira e le assestò un sonoro schiaffone su una delle natiche. Poi sull’altra e continuò così. Pulito il bagno, ovvero quando la ragazza orientale decise che poteva bastare, Federica indossò nuovamente il vestito e passarono al bagno seguente. Questa volta le dita di Yushiko penetrarono il sesso di Federica molto lentamente. Ci giocarono e poi uscirono, lo accarezzarono e schiaffeggiarono, fino a portare la giornalista sulla soglia dell’orgasmo, negandoglielo. In questa maniera, tutti i bagni del treno furono puliti.
Scesero e attesero un treno per il ritorno. Federica venne fatta accomodare in uno scompartimento. Si stava vergognando all’inverosimile, il suo vestito era bagnatissimo, sporco e puzzava da fare schifo. Tornate, uscirono dalla stazione e Federica dovette subire l’umiliazione di dover attraversare buona parte della città a piedi, accompagnata dalla contessa e da Yushiko.
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