di Altramira
Parte ottava – Una sedia per la contessa
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I giorni passavano, Federica ebbe le sue frustate fino a che la contessa decise che aveva imparato la lezione. In quel periodo non le fu chiesto altro: veniva prelevata, portata in un luogo all’aperto o alla villa e le sue natiche dovevano sottoporsi alle 25 sferzate. Gli strumenti cambiarono e furono usati vari tipi di frusta e in seguito anche la canna. L’unica cosa invariata furono i segni sulle sue natiche e l’abbigliamento oltremodo indecente che le veniva imposto. Passarono quindi molti giorni in cui l’unico suo compito fu di rispettare le regole base di vestiario e di buon comportamento in casa, sempre sotto il vigile occhio delle telecamere.
Quindi arrivò un nuovo invito. Doveva farsi trovare in un ristorante alle 18.30 in punto. Il vestito era un bel vestito nero da sera provvisto di due esagerati spacchi, uno sul davanti e uno dietro. Scarpe nere di classe, così come il vestito, tacchi alti. Camminò quasi un’ora e mezza per arrivare al ristorante, così le era stato ordinato, avrebbe dovuto andare a piedi. Ad accoglierla una nuova ragazza mai vista, mora, capelli sciolti e mossi. La squadrò dalla testa ai piedi e Federica si sentì particolarmente a disagio, anche perché la ragazza era parecchio più alta di lei.
-Entra, la contessa ti aspetta.
La frase ebbe l’immediato effetto di far scattare quasi sull’attenti la giornalista. Entrò senza farselo ripetere due volte. In realtà la contessa era lì, ma certo non stava perdendo il suo tempo ad aspettare lei. Stava invece amabilmente chiacchierando con un’altra signora, sorseggiando un aperitivo. Quando la vide fece finta di niente e la fece aspettare in piedi per venti minuti abbondanti. Federica non si mosse di un centimetro.
-Ecco la mia servitrice preferita- disse al fine, alzando lo sguardo.
Federica non seppe come reagire, era la prima volta che le dava quest’appellativo.
-Ti ho fatta chiamare perché qua abbiamo un problema.
La giornalista non capì. Ma rispose prontamente.
-Sì, Signora Contessa.
Lo sguardo andò al pavimento del ristorante.
-Vedi, oggi c’è un banchetto, se così possiamo chiamarlo, ma siccome per distrazione la mia amica qua presente si era dimenticata di confermare la presenza, ci manca una seggiola.
Federica pensò subito che quella era una scusa bella e buona per inventarsi qualcosa, ma si astenne assolutamente dal proferire verbo.
-Quindi- continuò la contessa -ho pensato che io posso cedere la mia sedia alla mia amica, usufruendo di te come seggiola per me. Cosa ne pensi?
“Come sarebbe a dire che cosa ne pensi” fu il pensiero di Federica.
-Signora Contessa, sa benissimo che le mie volontà o i miei pensieri non hanno alcun valore.
Così rispose, sempre volgendo lo sguardo a terra.
-Brava! Questo volevo sentirti dire. Ragazze, preparatela perché sia una sedia più che confortevole.
Federica non aveva la minima idea di cosa volesse dire fare da sedia, ma in pochi minuti se ne rese comunque conto. La fecero sdraiare schiena a terra, munite di corde nere. Il vestito le ricadde sul tronco e sulla testa, quando le sollevarono le gambe, le piegarono e le legarono prima tra loro e poi alle spalle. Legarono anche le caviglie e le scarpe ai capelli, dopo averli debitamente intrecciati. Ne risultò una posizione alquanto scomoda e le sue parti intime risultarono esposte in alto, sprovvista com’era di biancheria intima. I gomiti e le braccia poggiavano a terra, dietro la schiena, in modo da darle una parvenza di appoggio al pavimento. Il vestito fu poi arrotolato e legato, in modo che si potesse vedere il suo viso, sul quale si stavano alternando il rossore per la vergogna e le smorfie per la scomodità cui la posizione la obbligava. Fu trascinata vicino a un lungo tavolo, dove si sarebbe tenuto il banchetto, e lasciata lì. Passarono un paio d’ore, quindi gli invitati cominciarono a fluire. La contessa sedeva a capotavola. Dando il benvenuto alle sue ospiti, non mancava di far notare la sua nuova seggiola di pelle, infliggendo sonore pacche sulle natiche della giornalista, mentre ne vantava la solidità. Finalmente il banchetto cominciò e tutto filò liscio, se così si può affermare, per buona parte della cena. Alla terza portata di secondo cominciarono i guai.
-Hai fame seggiola?
Che cosa doveva rispondere ora?
-Sì Signora Contessa.
La contessa sorrise di quei sorrisi maliziosi e maligni che le adornavano spesso il volto.
-Avrai una coscia di pollo arrosto, ma prima devi tenertela in caldo.
Non finì la frase e Federica sentì qualcosa strusciare contro le labbra del suo sesso. Capì benissimo le parole della contessa, che delicatamente, ma senza fermarsi, la penetrò con la coscia.
-La terrai lì finché non avrai il permesso di mangiarla.
Le ospiti si stavano divertendo.
-Non credi che abbia anche sete?- suggerì una di loro.
-Certo, che sbadata- rispose la contessa -Cameriere… posso avere un imbuto per favore?
-Sicuro Contessa, glielo procuro subito. -Ah, e una bottiglia di acqua naturale, tiepida se possibile. -Certo, certo. Un attimo e sono da lei.
“Un imbuto?” fu il pensiero terrorizzato di Federica. L’imbuto scivolò untuoso nel suo intestino e vi venne versata l’intera bottiglia d’acqua. Dopodiché un tappo da spumante andò a chiudere il tutto. Tutte continuavano a divertirsi.
-Miagola questa gattina?
-Dai falla miagolare, facci contente.
-No, no, lascia che la facciamo miagolare noi.
-Sì a turno. Ognuna ha cinque minuti.
-Tre minuti- propose la contessa -a rotazione.
Fu accettata l’idea dei tre minuti. Federica si disperò, credeva di aver capito. La pancia era gonfia e l’intestino pieno d’acqua. Stava soffrendo. La coscia di pollo cominciò a muoversi e i suoi lamenti salirono presto alle orecchie di tutte le commensali.
-Senti come miagola.
-Sembra proprio una gattina in calore.
-A me sembra più una cagna vogliosa.
-Dai cagna in calore, facci vedere quanto sai resistere- disse la donna che teneva al momento la coscia in mano.
L’affondò nel sesso di Federica e la ruotò velocemente a destra, poi a sinistra e continuò così per i suoi tre minuti.
-Che vacca- disse poi, passando il turno alla successiva.
Federica sentiva il piacere salire, ma ancora non era al culmine. Inoltre il clistere, che le procurava piccoli dolorini interni, rallentava il suo piacere, almeno fino a quel momento.
-Signore, sono aperte le scommesse. Secondo me viene tra un turno.
-Io scommetto che non riuscirete a farla godere- disse la contessa -capito seggiola? Sto puntando dei soldi su di te.
-Si, ho capito Signora Contessa- rispose con voce spezzata la giornalista.
-Spero bene. Se perdo è colpa tua.
La prima ospite estrasse la coscia e la passò sull’esterno del sesso.
-Sai che hai proprio una bella fica, cagna? Viene voglia di morderla forte.
Ormai il clitoride era cresciuto e la coscia sfregava proprio in quel punto, prima di affondare nella massa di fluidi vischiosi e melliflui che stavano uscendo dalla vulva di Federica. Al secondo turno della quarta ospite, Federica chiese umilmente alla contessa di poter avere l’orgasmo. Cosa che immediatamente le fu negata. La testa se n’era andata e il liquido presente nell’intestino adesso era semplicemente di stimolo e le procurava pericolose impennate verso l’orgasmo. La contessa l’aiutò, colpendo le natiche con un cucchiaio e procurandole quel dolore sufficiente perché riuscisse a non avere l’orgasmo. Alla fine del secondo turno, la contessa decretò se stessa come vincitrice della scommessa. Il banchetto si sciolse e Federica fu finalmente slegata e le fu permesso di andare in bagno. Tornata nella sala, trovò solo la contessa e un paio di ragazze.
-Sei stata brava.
-Grazie, Signora Contessa.
-Ora devi mangiarti la coscia di pollo.
-Ma, Signora Contessa…
-Allora non è servito a niente il trattamento della frusta.
-Mi perdoni, Signora Contessa. Mangerò.
-Brava la mia cagnetta. Questa è l’ultima volta che ti sarà permesso mangiare a tavola e in un piatto.
-Grazie.
Non ebbe conati, solo perché riuscì a pensare ad altro. Alla fine riuscì a ingurgitare tutto.
-Oggi sei stata particolarmente brava e mi hai dato soddisfazione, anche se so che la cosa non ti è piaciuta particolarmente. Quindi potrei anche decidere di darti un premio, prima o poi. Adesso vattene a casa. Puoi prendere un mezzo pubblico.
-Grazie, Signora Contessa.
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