Capitolo [part not set] di 6 del racconto Una tortura insolita

di Milka

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Questo racconto è stato ispirato da Daniela: tacchiaspilloit@libero.it

Capitolo 1 – I Collant

*Din din*

Sento
il telefono squillare, probabilmente per un messaggio. Mi rigiro nel
letto infastidita, maledicendomi per essermi dimenticata di impostare la
modalità silenzioso. Guardo l’ora sul display della sveglia. Mezzanotte
e un quarto. Ottimo, anche domani sarò uno zombie. Trovo a tentoni il
telefono sul comodino e quando lo sblocco rischio di rimanere accecata
dalla luce dello schermo.

Non è un messaggio, è una mail, e come mittente leggo un nome che non vedevo da quasi tre settimane.

“Hai un pennarello di quelli grossi?”

Nessun
saluto, nessun oggetto. Una semplice domanda, che mi lascia perplessa,
molto perplessa. Non La sento da tre settimane e adesso salta fuori
così? Mi metto a sedere e rispondo velocemente.

“Un pennarello? Perchè?”

Dopo neanche un minuto il telefono squilla di nuovo. “Rispondi.”

Mi rassegno e smetto di cercare di capire. “Sì, ho un pennarello grosso.”

“Ottimo. Domani portalo con te… e indossa dei collant. Buonanotte!”

Sto per rispondere ma il telefono vibra di nuovo. “Dimenticavo. Le mutandine lasciale a casa.”

Rimango
a fissare lo schermo con la fronte corrugata, cercando di dare un senso
a quella che molto probabilmente è stata una delle conversazioni più
assurde che io abbia mai avuto. Ma d’altronde ormai ci sono quasi
abituata.

La nostra corrispondenza è
iniziata in maniera tranquilla, i soliti convenevoli, qualche scambio di
battute, niente di eclatante. Presto però abbiamo scoperto un interesse
comune: a Lei piace dominare, e a me, beh… penso sia scontato.

“Per dominare non basta dare quattro frustate. Dominare è capire lo/la slave. Capire la sue mente. Leggerla. Conquistarla.”

Parole Sue.

Parole con cui mi sono trovata estremamente d’accordo. E che mi hanno colpita…

Così
quelle battute sono diventate provocazioni. Provocazioni che dopo
qualche mese si sono trasformate in ordini. E ormai ho imparato a
rassegnarmi a fare quel che mi viene detto di fare, essendo però
consapevole del fatto che alla fine non me ne pentirò.

Spengo
il cellulare e cerco di rimettermi a dormire. Deciderò domani se
assecondarLa anche stavolta o meno. Ma una pulce nell’orecchio e un
ronzio nella pancia mi rendono difficile riprendere sonno. La verità è
che sono ansiosa di scoprire cosa la Sua mente escogiterà questa volta.

La
mattina dopo la sveglia suona alle 5:30, ma fanno in tempo ad arrivare
le 6:00 prima che trovi la forza di alzarmi. Con l’agilità di un bradipo
faccio colazione, mi lavo i denti, mi pettino e poi torno in camera per
vestirmi. L’occhio cade sui jeans che avevo preparato sulla sedia la
sera prima, ma, purtroppo per loro, la pulce che era nel mio orecchio
alla fine ha avuto la meglio.

Esco
di casa di corsa. Sono in ritardo, tanto per cambiare. Salto in
macchina e guido velocemente verso la stazione, riuscendo ad arrivare
sul binario giusto in tempo per vedere il treno sbucare all’orizzonte. E
mentre lo guardo avvicinarsi, sento un brivido scorrermi lungo la
schiena e il tempo si ferma per qualche istante.

E’
come se solo in questo momento prendessi coscienza della mia scelta.
L’ho fatto. Anche stavolta ho obbedito senza fiatare. E adesso sono qui,
in mezzo alle stesse facce che vedo ogni mattina, ma tra le gambe non
sento la rassicurante sensazione del cotone. No, non oggi. Oggi la
sensazione è completamente diversa. A contatto con la mia pelle più
sensibile sento il nylon dei collant, che ad ogni movimento mi ricorda
che le mutandine non ci sono. E se non ci sono non è perchè io, di mia
spontanea iniziativa, ho deciso di non metterle, ma perchè Lei mi ha
detto di farlo. Anche se semplice e apparentemente banale, sto eseguendo
un Suo ordine, e la mia testa ne è pienamente consapevole.

Il
treno mi scorre davanti agli occhi, ridestandomi da questi pensieri, e
la folata d’aria che lo accompagna si insinua tra le mie gambe,
accarezzandomi da sopra le calze sottili. Socchiudo gli occhi e mi godo
questa leggera e allo stesso tempo intensa sensazione. Ma devo stare più
attenta, se la gonna si solleva potrebbe succedere un casino!

Fortunatamente,
una volta salita, trovo un posto vicino al finestrino e di fronte a me
c’è solo una signora sulla quarantina, intenta a lavorare al computer.
Mi aspetta la solita oretta di viaggio per arrivare in facoltà, anche se
so benissimo come passerò il tempo. Tiro fuori il cellulare, ancora
spento da ieri, e quando lo accendo non sono sorpresa di trovare un Suo
messaggio.

“Buongiorno fanciulla. Dormito bene?”. Sorrido.

“Buongiorno! Abbastanza bene, un po’ troppi pensieri…”.

Come al solito la risposta non tarda ad arrivare.

“Posso immaginare che genere di pensieri. Hai fatto quello che ti ho detto?”

“Sì. Indosso i collant, ho il pennarello in borsa e… niente mutandine.”

“Brava. Oggi farai quello che ti dico io e dovrai dirmi per filo e per segno le tue reazioni. Chiaro?”

“Sì, tutto chiaro.”

“Bene. Come ti senti?”

“Vulnerabile. Ed è bastato un soffio d’aria per svegliarla…”

“Ha fatto in fretta.”

“La conosci…”

“E, fammi indovinare, è desiderosa di attenzioni. Giusto?”

Deglutisco. So bene dove andremo a parare.

“Sì…”

“Magari vorrebbe una lingua sopra di lei ora? Che scorre lentamente… su e giù.”

Avvampo.
Mi giro di scatto, guardandomi intorno, perchè una parte di me è
convinta che qualcuno stia spiando i miei messaggi. Mi schiaccio contro
il finestrino e rileggo, stringendo le cosce e sistemando la gonna.
Esito prima di rispondere.

“Giochi sporco! Così mi farai macchiare la gonna…”

“Basta così poco per farti eccitare?”

“Dovresti saperlo… sto già colando.”

“Ah sì? Sarebbe bello sentire i tuoi umori ora…”

Mi mordo le labbra, agitandomi sul sedile. Le Sue parole mi stuzzicano e la mia immaginazione fa il resto.

La
vedo di fronte a me. Lo sguardo sicuro, fisso nei miei occhi. Mi
accarezza una guancia e si avvicina per baciarmi il collo. Ma non lo fa,
sento solo il Suo alito sfiorarmi la pelle e farmi venire la pelle
d’oca. Poi scende, posa una mano sulla mia coscia e si inginocchia tra
le mie gambe.

Sento il telefono vibrare.

“Ma i collant sarebbero di intralcio. Bisognerebbe strapparli, usando le unghie.”

In
un attimo la presa della Sua mano sulla mia coscia diventa più
aggressiva e comincia a risalire, insinuandosi sotto la gonna. Sento le
unghie premere sulla mia carne, non sono aggressive ma minacciose, come
un avvertimento. Il telefono vibra di nuovo.

“Così poi non ci sarebbero più ostacoli fra le tue labbra e la mia lingua…”

Incrocio il Suo sguardo un’ultima volta, un ghigno e la vedo sparire tra le mie gambe.

– Signorina, il biglietto.

Trasalisco
e giro la testa di scatto. Il controllore è in piedi di fianco a me e
io non mi ero minimamente accorta della sua presenza. Credo di diventare
di colore scarlatto e farfuglio un – Sì… mi scusi, ora lo trovo… –
con un tono di voce un po’ troppo trafelato per essere una che se ne
stava comodamente seduta, senza far niente. La signora di fronte mi
lancia delle occhiate sprezzanti mentre rovisto nella borsa per cercare
il portafoglio e, una volta soddisfatta la richiesta del controllore, mi
accascio sul sedile cercando di ritrovare un certo decoro.

Quasi
mi vergogno di me stessa. Non posso accettare il fatto che bastino solo
dei collant, un soffio d’aria e un paio di messaggi per farmi perdere
il controllo.

Contegno. Altrimenti non arriverò mai a fine giornata.

Cerco
il telefono per risponderLe, ma non riesco a trovarlo. Guardo nella
borsa, sul sedile, nelle tasche del cappotto. Niente, non ce n’è traccia
da nessuna parte.

– Stai cercando questo?

La
mia compagna di viaggio mi sta guardando divertita, seduta con le gambe
accavallate e la schiena talmente dritta da sembrare legata ad una
tavola di legno. In mano ha il mio cellulare e me lo sta porgendo, senza
scomporsi minimamente.

– Mentre cercavi il biglietto, nella foga ti è caduto e non te ne sei nemmeno accorta. Devi stare più attenta.

Il tono di superiorità con cui mi parla mi urta i nervi. Ma chi si crede di essere?


Grazie. – rispondo in modo tagliente e con la stessa faccia da stronza
che mi sta rivolgendo lei. Forse è solo una mia impressione, ma il
nostro scambio di sguardi dura qualche secondo di troppo, e non capisco
se il suo scopo sia solo quello di intimidirmi oppure mi stia
esaminando. Una voce metallica interrompe questo momento di stallo,
annunciando la prossima stazione.

– Peccato, – esordisce faccia da stronza – questa è la mia fermata.

Si
alza, raccoglie le sue cose e mi guarda di sottecchi, esitando un
istante prima di aprire nuovamente bocca. – Sai, è meglio se le gambe le
tieni più chiuse quando indossi una gonna.

Sto per risponderle di andare a quel paese, con un lessico decisamente molto meno cortese, ma lei si fa più vicina.

– Soprattutto se sotto le calze non indossi l’intimo.

Mi fa l’occhiolino e fa per andarsene, ma esita di nuovo.

– Ah sì, dimenticavo… hai un nuovo messaggio da una certa ‘Padrona’. Meglio se controlli, sembra urgente.

Un ultimo sorrisetto e si volta, dirigendosi sculettando verso la fine del vagone.

Rimango
pietrificata osservandola scendere dal treno e poi guardo il display
del cellulare, dove campeggia in bella vista la scritta:

“Nuovo messaggio da Padrona”.

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