Capitolo [part not set] di 2 del racconto La caposervizio

di Viktorie

“Buon Nataleeee!!!” urlava uno dei dirigenti,
totalmente ubriaco, al tavolo del ristorante, rivesciando due bottiglie.
La serata era stata assolutamente, come previsto, imbarazzante a più riprese.

Si era partiti subito bene, con l’amministratore delegato
che si era presentato, fresco di divorzio, accompagnato da una stangona russa
di nome Yadviga (subito ribattezzata YadFiga da un paio di colleghi) davanti al
ristorante, e aveva subito cercato di appiopparmela. Bionda tinta, altezza
mirevole, un gusto nel vestire esagerato persino per i miei standard di
appariscenza, troneggiava con una minigonna inguinale su dei tacchi
brillantinati ricoperta da monili di ogni genere. “Yadviga, questa è
Vittoria, viene dal tuo Paese.”

“…No. Diciamo
che il suo si è accomodato molto volentieri sul mio…” risposi con un
gelo profondo nella voce, ma la mano di Alessio che stringeva la mia mi diede
uno strattone. “…Vo… Volevo dire, zdràvstvujte!
Kakvàscidilà?”

Yadviga
rispose subito con una pronuncia impeccabile, ma il suo entusiasmo fu di breve
durata quando le spiegai che il mio ‘russkij jazyk’ era
assolutamente arruginito, e con un fortissimo accento di Smolensk.

“Non ho capito un cazzo” commentò
Alessio, mentre salutavamo altri colleghi. “Me la volevo solo levare di
torno, ‘Jadzia’ è una bella fregna ma stasera punto a Tailleur!”

Tailleur
non si presentava.
Scartato l’AD e la sua stragnocca di Mosca erano seguiti gli ingressi al
ristorante, le bonarie discussioni sui posti (“evitare Jadzia, sedia per
Herr Figa di Legno” sussurrai ad Ale nel metterci seduti, con successo),
cominciò una carrellata di antipasti letali per l’appetito.

“Non ci vedo dalla fame” commentai,
avendo saltato il pranzo, nel tentativo di non sembrare concentratissima come
ero nell’attendere Arianna. “Sarà perché sei Ceca!” disse un collega
suscitando delle risate di comodo e un mio tentativo di renderlo orbo con il
tappo della bottiglia dell’acqua. Nel giro di 40 minuti la mia quota di eventi
insopportabili aveva raggiunto la soglia di allerta.

Vi
renderete conto come, visto l’andamento del convivio, la mia voglia di finire
la giornata ficcando la testa di Herr Figa di Legno sul cazzo del mio uomo e
usarla come troietta antistress fosse alle stelle.

E per
fortuna Arianna arrivò, lamentando un’automobile con la batteria defunta, e un
taxi ritardatario.

“Che
fortuna che Alessio passa da quelle parti per andare a casa!!” dissi dando
una piedata al mio lui, che si stava distraendo un po’ troppo nella scollatura
del mio abito lungo nero.

“Oh sì! Poi ti accompagno io!” rispose
con un viso d’angioletto. Arianna divenne letteralmente rossa, un pessimo accompagnamento
al suo completo blu, mentre già le versavo un bicchiere di vino.

E così arriviamo al dirigente che uccideva due
bottiglie innocenti che riversarono la loro linfa preziosa sulla tovaglia,
all’amministratore delegato che si lamentava della ex moglie, a Yadviga che
cercava di capire i nomi di alcuni piatti, e io che tentavo di tradurle alcune
parole, lasciando Arianna con la ridarella per le avances di Alessio. Ridarella
che l’accompagnò anche in auto mentre ci dirigevamo al White Rose, dove alcuni
tavoli ci attendevano, almeno i ‘giovani’ che non volevano finire la serata con
il brindisi di un tizio abbrancato ad una bionda tinta che augurava “buon
Natale e merda a mia moglie”.

“Cazzo,
ma davvero avete invitato Tailleur??” imprecò in un angolo un collega.
“Ragazzi colpa mia, quella ha sentito che organizzavamo, mi avrebbe reso
la vita un Inferno… Tanto, guardatela…” dissi con un sorriso,
indicandola con un cenno della testa dietro le spalle. Arianna beveva già un
drink con Alessio, totalmente incapace di opporsi alle sue battute,
provocazioni calcolate e approcci.

“Scusa,
quella ci prova con il tuo tipo e tu sei qui a bere con noi??” commentò
un’altra collega vicino a me.

Bevvi un
sorso con sicurezza. “Intanto, non è il mio tipo. E poi, le piace, chi
sono io per oppormi? E in ultimo… Io a Febbraio non sarò dei vostri. Questa
sera Tailleur proverà cosa vuol dire ‘ubriacarsi’ Viktorie-Style, tanto poi chi
la becca più?”

E così
portammo avanti, io e il mio bel fanciullo, il nostro piano sottilmente
malvagio. Arianna sembrava totalmente un’altra persona, visto che non ebbe a
dire nulla né sul mio limonare con Ale fissandola da sopra la muscolosa spalla,
né sulle offerte di drink dell’open bar, anzi si lamentava che il ragazzo non
partecipasse quanto noi, mentre ci lasciava da sole per andare al bagno.

Era il mio momento…

“ha
un gran bel culo” dissi prima di bere dal mio bicchiere, vedendo gli occhi
sottili di Arianna puntare sulle sode chiappe del ragazzo che si allontanavano.

“Co…?
Eh? Oh, sì, è… Hai un bel ragazzo…” disse avvampando.

“…
Non è il mio ragazzo!” dissi con uno sbuffo. “Ma perché nessuno
concepisce una frequentazione basata sul divertirsi assieme, partecipare ad una
vita sociale, e anche delle sanissime e godibilissime scopate stellari??”

“Bè,
non tutti hanno questo genere di relazioni…” disse nicchiando sull’orlo
del calice Herr Figa di Legno (legno impregnato d’alcool).

“Colgo dell’invidia, Arianna?”
provocai con un’alzata di sopracciglio.
“No, no…” ribattè con un gesto della mano. Il rossore sulle gote,
l’alcool, e il mio istinto, dicevano che sì, Tailleur era nel giusto mood.
“Se vuoi possiamo fare una cosa…” sussurrai, accostandomi al suo
orecchio.

“…
Immagina di avere Alessio… Averlo stasera… Averlo tutto per te, toccarlo…
Quel bel ragazzo, che ti sfiora…” scandirono le mie labbra a un
millimetro dal suo padiglione. Arianna rabbrividì.

“…
Solo una sera, non lo saprà nessuno… Tu, lui… Ti assicuro che ne vale la
pena di ogni singolo centimetro di quel cazzo…”

“Ma
Viktorie, cosa dici!!” sbottò senza tuttavia scostarsi.

“…
Ti garantisco un orgasmo a centimetro, al che, più o meno, direi che fanno più
di una ventina… E io… Io posso dartene altrettanti, Arianna…” la mia
lingua sfiorò il suo orecchio, facendola scattare in piedi. Sorrisi.

Il colore sul viso di Arianna era
inequivocabile, se non avesse avuto anche la giacchetta sopra i seni
ondeggianti dal fiato corto avrei potuto certo scorgere i capezzoli eretti per
l’eccitazione.

Tailleur
fece per andarsene, ma incocciò Alessio di ritorno dal bagno.

“Vai
già via?” le disse, prendendole la mano. Bevvi il mio cocktail, smettendo
di guardarli, perché il gioco a quel punto era nelle capaci mani del mio
maschio.

In capo a
mezzora, dopo forse un ballo e chissà che avances, se non altri drink, eravamo
in auto con Alessio. Rimanevo seduta sul sedile posteriore con Arianna che, di
fianco a lui, sospirava ad ogni tocco delle mani sulle cosce. Li lasciai giocare
per un po’ da soli, per poi accostarmi al suo orecchio, dato che un tratto di
tangenziale tutta curve richiedeva l’uso di tutte e due le mani del ragazzo.

Tailleur abitava in periferia, non l’avrei mai
detto.

La mia
mano scivolò su uno dei grossi seni di Arianna, abbrancandolo senza troppi
convenevoli, facendola sussultare, mentre la mia bocca estraeva una punta di
lingua che andava a solleticarle la pelle sensibile poco dietro il padiglione
auricolare.

“Toccaglielo,
Arianna…” sussurrai, senza aspettarmi una vera reazione, per cui sorrisi
sinceramente quando la mano imbraccialettata della mia caposervizio ondeggiò
nel tragitto verso il pacco di Alessio, gustandone il rilievo sopra i
pantaloni.

“… Ne hai mai sentito uno così
grosso?” sussurrai ancora, mentre scuoteva lievemente il capo.
“… Non scopi da tanto, vero?” annuì altrettanto lievemente.
“…. Allora, sarà mia premura educarti nella cura di un vero
maschio…” Arianna sospirò, mentre la mia lingua le solleticava l’incavo
del collo. Non era una posizione molto comoda, così incastrata tra i due
sedili, considerando anche l’abito lungo, per cui mi dedicai più alle carezze
che al parlarle all’orecchio. Per fortuna Alessio arrivò alla villetta di
Arianna in pochi minuti.

“Possiamo…
Possiamo entrare velocemente?” chiese arrossendo, cercando le chiavi nella
borsa.

“Vicini
curiosi?” sorrise il ragazzo. “… Abbastanza.”

Scendemmo
dall’auto posteggiata in strada ed entrammo dal cancelletto della recinzione di
una villetta costruita su una mezza collinetta forse artificiale, due piani con
garage e giardino ben curato in pieno stile casetta di periferia americana.

“Carina”
si complimentò il ragazzo, accostandosi cordialmente ad Arianna. “Fa schifo”
pensai io, guardandoli un paio di passi avanti a me. Il piccolo regno di
Arianna, tutto bene in ordine, curato, perfettino, non mi stupii per niente che
sotto il portico stessero due poltrone in vimini.

Quanta vita, Tailleur…

“Tua
madre è statunitense, Arianna?” dissi, mentre apriva la porta. Arianna
sussultò la seconda serratura della grossa porta d’ingresso “…Sì,
perché?”

Il mio
dito fece un giro ad indicare quel che ci circondava. “Mancano solo la limonata sul tavolino,
forse un banjo e la stars and stripes sul pennone… Poi abbiamo tutto,
compresi i vicini guardoni.”

La spinsi contro la
porta. “E’ l’ultimo momento, questo, in cui puoi pensare di non essere il
nostro giocattolino. Io ti ho trovato un bel maschio che ti fa colare sotto le
mutandine, io ti farò vedere come trattarlo con riguardo… In ufficio puoi
anche essere la mia caposervizio, ma stasera sei…”

Arianna quasi venne
per la mia mano che le strizzava l’inguine da sopra la gonna. “… Il tuo
giocattolino, sono il tuo giocattolino…”

Sorrisi. Mi piacque più del normale quel “tuo”
anziché “vostro”, per cui prendendole il viso le diedi un lungo,
appassionato bacio in bocca. Che i vicini avessero pure di che parlare tra
loro.

Entrammo concedendoci
un minuto in cui Arianna accennò se volessimo bere qualcosa, appendendo la
giacca.

“Non credo di
dover guidare tra poco…” disse Alessio accettando, mentre io chiedevo
direttamente che cosa Tailleur avesse in cantina.

“Non dovresti
bere così tanto, Vik” disse Arianna in un -non richiesto- interessamento.
Risi sadicamente. “Ne parliamo tra un po’, Arianna, per ora tieni i tuoi
consigli di vita dove vuoi il cazzo di Alessio: dentro di te.”

Il giovane andò in
cucina con Arianna a procurarsi da bere, mentre io lasciavo la borsa all’ingresso
e mi guardavo attorno. Il lungo e comodo divano della sala mi sembrò l’ideale
per poggiare il culo e attendere i due, che non arrivarono proprio lestamente.

Con un sorriso mi rialzai e andai in cucina, solo per
verificare la mia teoria. Alessio teneva adesa al frigorifero un’ansimante
Arianna, baciandola e palpandola con decisione. Le mani curate di lei cercavano
goffamente di arrivare a toccare quel sesso eretto sotto il tessuto.

“Che
troietta!” esclamai con un sorriso.
Arianna si staccò da Ale con un sussulto e una vampata di colore in viso. Le
ricordai che doveva smettere di vergognarsi delle sue pulsioni dato il
contesto, ormai più che esplicito.

“Se vuoi il suo
cazzo credo sia d’accordo” dissi con un’alzata di spalle, girando il
ragazzo verso di me, accostando il mio viso al suo, le labbra socchiuse in un
sussurro “… Ma non puoi tastarlo come la frutta al supermercato… Uno
come lui va adorato, va sedotto, non è qualcosa per tutte… Vero?” dissi
con le palpebre socchiuse, guardandolo mentre la sua mano mi cingeva i fianchi.

“Falle vedere come si fa” rispose lui, e con un
sorriso mi accosciai lentamente a terra, alzandomi il vestito di un poco per
poter piegare per bene le gambe, dato che i tacchi non permettevano una grossa
stabilità.

Con perizia e calcolata calma lavorai per estrarre l’uccello
di Alessio dai suoi pantaloni, sfruttando l’apertura, e con il viso
nascondendolo ad Arianna. Volevo pregasse di vedere. Me la trovai accanto, ne
sentivo il respiro sulla nuca. Sorrisi, con gli occhi socchiusi nella penombra
dell’alcola creata dalla mia testa e dalle mie mani.

“Vuoi vederlo,
vero?” dissi, piano.
“…”

“Vuoi vederlo,
vero??” ribadii con un poco di veemenza.

“… Sì…”
pigolò lei, per rimanere di nuovo muta davanti allo spettacolo, quando mi
scostai. Il sesso eretto di Alessio titaneggiava davanti ai nostri volti,
sicuro di sé, possente, dalle vene definite che pulsavano di desiderio.

“Mai così grossi
vero?” dissi con un sorriso.

“…
Mai…”

“Bacialo.”
Ordinai. Arianna obbedì timidamente, scoccò un bacetto come sulla testa di un
bambino.
“Cazzo, Arianna, stai baciando l’uccello in tiro del mio amico, non tua
zia!” sbottai, levandole il giochino. Le mie labbra impattarono lentamente
sulla punta dell’asta, schiudendosi lievi, per distaccarsi con un piccolo
risucchio. La punta della lingua scivolò fuori, solleticando l’uretra, per poi
rientrare. Ad un bacio ne seguirono altri su tutta l’asta, fino allo scroto,
non senza guardare Arianna che mostrava la salivazione e il desiderio di un
cane davanti a un bel boccone. Mi staccai dall’ultimo languido bacio e tenendo
in mano quel bell’oggettino sussurrai “Bacialo, adesso.”

Tailleur imparava
velocemente, o forse tale era la sua fame che finì di baciarlo prendendolo
direttamente in bocca.

“Ingorda.”
sorrisi.

“Golosona”
ridacchiò Alessio. Mi alzai in piedi, aprendo una bottiglia di vino frizzante
abbandonata sul tavolo, lasciando Arianna fare un po’ da sola. Mi versai da
bere, lessi velocemente l’etichetta (Tailleur non comprava un vinaccio,
complimenti) e poggiat al tavolo della cucina guardai una pessima fellatio.
Arianna viveva evidentemente il contrasto tra una fame atavica di sessualità,
il timore di apparire una facile, il desiderio del mio amico. Sembrava che una
ninfomane e una timorosa verginella si contendessero quell’uccello
immaginifico, con un risultato schizofrenico e stimolante come un talk show di
policiti di terz’ordine che si urlano addosso.

Con uno sbuffo posai il bicchiere dopo un sorso e mi accosciai di nuovo.

“Non ho tanta esperienza…” piagnucolò,
staccandosi, quasi con le lacrime agli occhi. La mia muta risposta stizzita fu
inghiottire quel membro fino alle palle, e dare sfogo a tutta l’arte orale che
possedevo. La volevo umiliare, e ogni frullo di lingua e sospiro di Alessio,
che rimaneva muto sotto le sue precedenti carezze, erano una tacca al mio
fucile.
Mi staccai solo dopo qualche minuto per guardarla quasi con disprezzo.
“Non sprecare l’occasione, Arianna. Questa nottata non finirà su uno dei
tuoi report, non verrà valutata dal direttore.” le mie mani corsero alla
sua camicetta, praticamente strappandone i bottoni. Aveva un decolleté molto
generoso, con un reggiseno sensuale come una buca delle lettere.

“Perché fai
vivere quelle belle tette in una cosa simile?” sbottai, sfiorando il
tessuto semplice e noioso del reggiseno. Neanche il mio intimo da palestra
prevedeva una tale piattezza di fantasia. Mi lasciai cadere le spalline
dell’abito a mezzo bicipite, mostrando un pizzo elaborato.

“Il fatto che la funzione sia reggere il seno non impedisce un certo
stile, Arianna.”
“Non lo vede nessuno, tanto…” piagnucolò il residuo di Herr Figa di
Legno.

“… Chi te lo
dice? Magari no, ma comunque non è una scusa per non volersi un po’ bene.
Queste bimbe” aggiunsi, portandomi le mani al reggiseno e calandolo
“Meritano rispetto. Baciale, Arianna.”

La tremante
caposervizio ristette un attimo, portandomi ad abbrancarla per la nuca e
buttandomela tra i seni. I miei capezzoli eretti, su due seni gonfi e sodi,
esigevano deferenza.

“Baciami le
tette, troia! Non so se mi fa incazzare di più la tua aria da superiore
perfettina a lavoro, o questa da morigerata capetta quando hai la fregna che
prude!” infilai una mano sotto la sua gonna mentre la sua bocca baciava la
mia pelle bollente.

“Mi correggo,
hai la fica che cola!” scoppiai a ridere.
Di rado avevo visto delle mutandine così zuppe, tanto che una parte di me pensò
a un’improvvisa incontinenza di Arianna, ma la consistenza della sostanza e il
suo odore non avevano possibili fraintendimenti.

Passai le dita sulla bocca di Arianna semiaperta,
infilandole dentro l’indice e il medio. Volevo che si assaggiasse, che si
sentisse, che venisse umiliata nel profondo.

Anche se devo dire
che non parve dispiaciuta nell’essere trattata così. Le stavo sbattendo in
faccia la prova del suo sacrosantissimo essere una donna con voglia di scopare,
di essere femmina, di essere qualcuno con voglie e desideri.

“Non ti frenare,
Arianna, non ti frenare… Lo sento che vuoi lasciarti andare e puoi, noi siamo
qui per questo, accetta che tu non sia un maledetto robot, non sempre…”
sussurrai nel suo orecchio prima di baciarla, finendo con il buttarla a terra,
aprendole la camicetta, strappandole il reggiseno, gustandomi impazzita quelle
tette sode e meravigliose che aveva sempre così costretto ad un’esistenza di
appendici quasi inutili.

Arianna sospirava e mugolava, dimenandosi sotto di me,
premendomi le mani nella schiena.

“Meno male che
non eri ubriaca” disse Alessio, ridendo. Lo guardai storto con un sibilo
“Tu credi che io sia così perché ho bevuto? Dammi quella bottiglia!!”
diedi due sorsate di vino ghiacciato a collo, e una terza nella mia bocca
scivolò in quella di Arianna.

“Andiamo sul divano, troietta” ringhiai sulla
bocca lucida di liquido. “E non ci arriverai vestita.” conclusi con
un sorriso.

Arianna impattò sul
tessuto del divano come madre natura l’aveva fatta, ansimando velocemente per i
miei baci e le mie carezze che l’avevano accompagnata fin lì. Perfettamente
vestita mi spinsi su di lei, baciandola dalla bocca al collo, per i seni, il
ventre, la vagina non propriamente curatissima.

“Farò finta di niente” sibilai, pensando tra me e
me che almeno un po’ di attenzione l’avrei dedicata alle mie intimità, anche
senza serata in compagnia all’orizzonte. Sentii Alessio sedersi sulla poltrona
dietro di me.

“Non vedi l’ora di leccarla” ridacchiò.
“Non posso pensare a niente di più umiliante di questa zoccola che mi
implora di farla venire, prima di lasciartela farcire di sborra.” risposi
con una volgarità di termini non tipicamente mia.
Arianna mugolò a sentire il mio lungo dito medio sfiorarle la piccola callosità
interna, mentre chiudendo gli occhi mi mettevo all’opera.

La descrizione di
quel che feci a Tailleur, a Herr Figa di Legno Impregnato, sarebbe una mera
sequenza di azioni, di close up da filmetto porno, e non renderebbe per nulla
giustizia al vero motore delle mie azioni. La pura e distillata voglia di
portare Arianna ai miei piedi, a riconoscere che la sua superiorità in ufficio
non era valida al di fuori dell’ambiente lavorativo.

“Sei mia superiore nell’organigramma, ma in quanto
all’orgaSmigramma sei meno di zero, troietta.” sibilai in un raro momento
in cui la mia bocca si staccava da quel ricettacolo viscido che era il sesso di
Arianna. Realizzai che in quella posizione potevo divertirmi ulteriormente, per
cui dopo un risucchiatissimo bacio chiamai il mio uomo. “Perché non cogli
l’occasione di questo bel culetto messo a novanta e non mi scaldi un po’?”

Non se lo fece
ripetere, e in capo a qualche minuto leccavo e tormentavo la vagina di Arianna
sentendomi invasa dal sesso di Alessio. Celiai sulla mia eccitazione, quasi ai
livelli di quella di Tailleur, solo per non mostrare il fianco, ma non fu
semplice sentire le sue mani sui miei fianchi, di lui così accosciato
animalescamente a penetrarmi, e non smettere di portare al delirio Arianna. Che
guardava, con gli occhi estatici, quel maschio possente prendere possesso di
me.

“Questa…
Questa è una tua serata normale, Viktorie…?” piagnucolò, con un mezzo
sorriso. “Nnnnh!! N… Normale no” ansimai per due colpi potenti di
quel cazzo meraviglioso “… Ma neanche così inedita…” Il piacere
montò velocemente dentro di me, in parte ringraziai della cosa perché avrei
avuto serie difficoltà a seguitare nel cunnilingus di Arianna con quel ritmo
dietro le mie spalle.

Infilai due dita in Arianna per un istante di piacere,
mentre l’orgasmo esplodeva nella mia testa, rantolando un urlo animalesco con
il sesso del ragazzo piantato dentro, e Arianna si sciolse letteralmente a
vedere quello spettacolo. Venne in maniera decisa, convulsa, mi sentii le dita
zuppe di liquido che correva per la mia mano, mentre Tailleur si muoveva
convulsamente sul divano, piantando le unghie nel tessuto.
Alessio uscì da me, e mentre i miei succhi colavano per la mia coscia destra,
rimasi ad ansimare con le labbra sulla fica di Arianna, totalmente fuori fase
per qualche minuto, se non per estrarre le dita da lei e sedermi per terra.

Il ragazzo si
spogliava davanti a me nella sua virilità impossibile, ma ero fuori gioco con
la testa, troppa era l’eccitazione della rivalsa sulla mia caposervizio.
Riuscii solo a mugolare un “Aspetta a fotterla…” con un sorriso in
volto.

Cortesemente lui
attese, e mi inginocchiai a deliziare quel membro di altre carezze, prima di
alzarmi e di tenderne la punta verso la vagina ancora pulsante di Arianna,
appena si fu messo in ginocchio.

Così, in piedi di
fianco alla coppia, con una mano sul sesso di lui solcavo quelle intimità così
imploranti di ricevere piacere.

“Dimmi che lo
vuoi…” dissi piano. Arianna ansimò. “… Dimmelo.”

“Lo voglio…” piagnucolò, cercandolo con una mano
che venne colpita da uno schiaffo mio.

“Stai.
Ferma.” Il sesso si allontanò per un istante.

“…Sì,
scusa…” Scuse accettate, l’asta tornò a scaldare quell’intimità
tremolante.

“… Quanto lo
vuoi, troietta?” la cappella scorreva lucida della mia saliva
sull’ingresso della vulva.

“Tantissimo…”

“Più
convincente.” sorrisi, mentre Alessio mimava con la bocca uno
“stronza” assolutamente vertiero.

“Lo voglio
tantissimo! Ne ho bisogno!!” urlò Arianna fuori controllo, con le lacrime
agli occhi, quasi facendomi spaventare.

Invece mi eccitai da
morire. Le saltai a cavalcioni, ancora più o meno perfettamente vestita,
prendendole il viso con la mano destra, premendo le dita su quel mento sempre
così altezzoso.

“In ufficio
sarai anche la mia caposervizio, ma ora sei la mia troietta, il mio
giocattolino, vero?”

“Sono la tua
troietta… Dammelo…” singhiozzò.

Per un istante mi balenò l’idea di negargli quel sesso, di tenerlo per me, di
lasciarla lì sul divano, da sola, fradicia e tremolante in una casa vuota.
Arianna dovette leggere il mio pensiero nel mio sguardo a qualche millimetro
dal suo.
“Oh no, oh no Viktorie, ti prego non lo fare…” cominciò a
cantilenare con il fiato corto “… Ti prego no, non adesso, cos’altro
vuoi, ti prego, ti prego Viktorie…” piagnucolò carezzandomi il volto,
supplichevole, arrendevole, distrutta.

Non avrei mai
pensato, né quasi voluto, vederla in uno stato tale. Il mio sadismo non
raggiungeva tali vette.

Le carezzai il volto
con dolcezza. “Non si preoccupi, caposervizio, le prometto che fino a
domattina tutto quello che vorrò da lei sarà assolutamente gradito.” Le
sorrisi, e lei di rimando fece lo stesso.
La baciai, tenendole una guancia, e sempre a cavalcioni della mia superiore
girai il viso sopra la mia spalla guardando il nostro uomo.

“Vai, scopala,
stallone. Fammela felice, non frenarti.”

Vai al capitolo...