Capitolo [part not set] di 2 del racconto La caposervizio

di Viktorie

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Scommetto che è
capitato a tutti e tutte voi, prima o poi, di incontrare qualcuno
“antipatico a pelle”.

E’ qualcosa che non
ha una ragione razionale di essere, magari quella persona non compie gesti
fastidiosi contro di noi, non parla male di quello che facciamo, magari è anche
cortese, e lo siamo anche noi, eppure…

Eppure c’è sempre un filo di tensione, di ‘stronza/o’ sulla
punta della lingua, un ‘cazzo vuoi’ che riecheggia nella testa ad ogni domanda
che ci rivolge…

Sì, scommetto che è
capitato, che questa cosa vi è familiare.

Ed ecco che potete
capire come fosse il mio rapporto con la mia caposervizio. Arianna era una
donna a suo modo affascinante, molto attenta ai modi di porsi e di parlare in
ufficio, sempre molto professionale nel gestire i problemi a lavoro.

E costantemente pronta a rimbeccare qualcuno, a sottolineare
un errore, un’inesattezza, o anche solo a moderare un entusiasmo troppo vivace,
come è di solito il mio a lavoro.

Sono esagerata,
energica, in molti miei modi, ma sul posto di lavoro questa cosa non è mai
stata vista negativamente. Meglio avere qualcuno di esuberante ma attivo, che
un automa privo di ogni passione, no?

Per Arianna, no.

Cominciò a lavorare
da noi verso Ottobre di qualche anno fa, e in capo a un mese “Herr Figa di
legno” o “Tailleur” erano sinonimi di “Arianna” o
“caposervizio”. Era seria, fredda e precisa oltre il suo ruolo, e noi
tutti troppo grandi per accettare una specie di vecchia zia single con un
pessimo carattere senza provare fastidio!

“Fastidio”, un termine adeguato, che accompagnava
ogni mia interazione con lei, e quasi certamente, viceversa, da come sembrava
più che pronta a punzecchiarmi su ogni argomento, pure quelli personali, come
trovarmi a salutare molto calorosamente il tizio con cui uscivo all’epoca.

Ma è qui che le cose presero una piega molto inaspettata e
molto divertente…

Ricordo l’esatto
momento in cui mi staccai dalla bocca del mio lui, cercando di contenere una
risposta di un’acidità tale che avrei sciolto il marciapiede, e di aver
incrociato lo sguardo di lei che lo guardava. Per un istante vidi chiaramente
un lampo nei suoi occhi e una microscopica vampata sul suo viso, sempre molto a
modo e serio.

“Scusami, ma siamo ancora fuori da lavoro, potrò avere
la mia privacy?” chiesi aspramente. La risposta di Arianna, fulminea, la
riportò nel suo mood da Herr Figa di Legno. “Non penso ci sia privacy
quando sei attaccata a lui come una ventosa in mezzo alla strada!”

Per fortuna il mio
lui, al secolo Alessio, alzò le spalle ben proporzionate e adducendo scuse di
lavoro spezzò la discussione e si levò anche poco cavallerescamente dai
coglioni.

In ascensore Arianna
non riuscì a trattenersi dal chiedere. “… Da quanto vi vedete?”

“Un po’.”

“Mi pareva
avessi un ragazzo un mesetto fa…” sottolineò lei.

“No. Uscivo con un altro ragazzo, ma chi frequento e
ogni quanto cambio compagnia penso proprio -quasi letteralmente- che siano
ca…Si miei.” risposi in un sibilo, certa che la mia risposta fosse fonte
di nuovi rimproveri.

Ignorando il resto
del discorso, sedendomi nel mio tristissimo cubicolo, ripensai a quel
microsecondo in cui avevo visto il viso di Arianna illuminarsi, guardando
Alessio.

Forse si conoscevano? Frequentavano? Vai a sapere le coincidenze…

Un paio di SMS con Ale smentirono la mia tesi, non l’aveva
mai vista prima. E un paio di ore dopo, la mia anima maliziosa decise che
Arianna e Alessio dovessero incocciarsi qualche altra volta…
E così sottilmente cominciai a testare scientificamente la mia idea. Alessio e
Arianna si trovarono vicini quasi subito, la stessa settimana.
D’altronde lui non lavorava distante, cosa c’era di male in una pausa pranzo al
bar in cui passava a mangiare anche lui?

Arianna sembrò
sbiancare, non solo a me, quando il bel fanciullo si sedette di fianco a me al
bar.

“Non avevo
capito ci fosse anche lui!” disse in un sospiro mentre il ragazzo ordinava
alla cameriera.

Un collega ridacchiò
commentando che forse questa volta il mio ragazzo sarebbe durato più di tre
giorni, visto che ‘addirittura’ lo invitavo a pranzo.

Presi la palla al
balzo. “No, ehi, tre giorni durano quelli che mi porto a letto, i
‘ragazzi’ durano un po’ di più… Per quanto non è che la sera, a casa, stiamo
sul divano a giocare a carte…” dissi con un’eloquente alzata di
sopracciglio indirizzata ad Arianna, una confidenza che sicuramente non
gradiva, ma che la mise solo a disagio.

Sorrisi al mio piatto
di insalata di pollo appena arrivato, pensando che forse forse Herr Figa di Legno
potesse rivelarsi una compagnia divertente.

Nel mese successivo, senza calcare troppo la mano, colsi
ogni occasione possibile perché fosse giustificabile la presenza di Alessio, e
sempre più mi veniva chiaro il disagio di Arianna. Arrossiva quando le parlava,
chiedeva di lui in ufficio nei momenti in cui eravamo sole, insomma…

Alessio piaceva ad
Arianna. Non ne ero gelosa, perché il rapporto con lui era -ad insaputa della
morigerata Tailleur- molto spinto sul piano sessuale, poco su quello sentimentale.
Io non frequentavo altri per pura casualità, ma lui non si sottraeva alle
occasioni che il suo bel fisico muscoloso, gli occhi chiari su pelle abbronzata
e anche una più che notevole dotazione nelle mutande, gli procuravano.

Se fosse stata una collega simpatica, un’amica, non avrei
avuto alcuna difficoltà a dire “vai, su, prenditelo, e goditela”, ma
Arianna era Herr Figa di Legno! Era quella che ti rispondeva a un report
dicendo che a lavoro il font più grande di 10 punti era poco serio, quella per
cui qualsiasi gonna più alta del ginocchio era fuori luogo…
Fino al giorno che ci aveva fatto staccare tutte le pubblicità idiote e foto
stupide dai muri della saletta pausa perché lei voleva che i clienti potessero
prendere il caffè con noi (“maggiore colloquialità nei rapporti di
lavoro” la spiegava) e che però dovessimo sempre sembrare professionali.

“Ma se sono in pausa perché devo essere
professionale??” stava apostrofando Andrea, un collega, quando entrai
dalla porta.
“Bisogna sempre essere professionali!” apostrofò Arianna.
Io, lavoratrice part-time e reduce dal mio turno di istruttrice in palestra,
con ancora i capelli umidi di doccia e un completo canotta&shorts, non
potei che mettermi a ridere.

“Questo vale
anche per te, Viktorie!” disse acidissima Arianna. “Ti sembra un
abbigliamento da ufficio?”

“Scusami, ma io
oggi ho il giorno libero qui, sono solo passata a prendere dei documenti per
domani che ha Andrea… Questo E’ il mio abito professionale, da istruttrice di
palestra!” le risi praticamente in faccia. “Sono professionale come
istruttrice, vestita a modo, e pure nel mio giorno libero qui sto passando lo
stesso a prendere dei documenti! Professionale elevato alla N!”
Presi la cartelletta che stava sul tavolo accanto al mio collega, che me la
spinse sorseggiando il caffè (e rimirandosi la mia scollatura) “Sono la
cosa più professionale che sia qui presente…” commentai ficcando i
documenti nel borsone.

“Ma è la mia giornata libera, quindi ora che passerà
Alessio a prendermi sarò molto professio-nale nel mangiare e bere
l’impossibile, divertirmi, e chissà che in nottata non diventi anche molto
professio-a-nale.” conclusi con un sorriso e un’occhiata totalmente
rivolti a mescolare il sangue ad Arianna, e il suo rossore fu impagabile, quasi
valse la pena di aver perso nel cassonetto della carta tutte quelle splendide
fotografie imbecilli.

Arrivò così la cena
di Natale dell’ufficio.
Un’occasione così lieta e desiderata che la email generale con data e luogo
venne accolta nei corridoi e nelle stanze dell’azienda da un’ondata di “oh
no!” “che palle!” e “ty vole!!” (l’ultimo specifico
della sottoscritta) tale per cui avreste potuto seguire l’ordine di apertura
della missiva solo sentendo da che piano venivano i lamenti.

Per rimediare all’impiccio, partì subito un fittissimo
scambio di opinioni su dove andare a festeggiare DAVVERO dopo la cena.

“Io dico che se
andiamo in massa senza prenotare al White Rose la metà la lasciano fuori nel
posteggio, l’altra metà all’ingresso” commentai con una collega prendendo
dei documenti dall’archivio.

“Tanto cosa
vuoi, tu entri di sicuro!” esclamò lei. “Sei una ficona da paura, e
quelle entrano sempre, e poi come minimo conosci qualcuno del locale.”

Mi toccai il naso con
un sorriso. “Vero! Sono avvantaggiata nei locali!”.

“Avvantaggiata
nei locali?” serpeggiò la voce di Arianna nello stanzone pieno di
documenti, raggelandoci.

“Niente, si
parlava di dove andare dopo la cenAAH!nn…” imprecò la giovane dopo una
cartellettata sul culo. Arianna era stronza ma non scema, capii immediatamente
che non invitarla ci avrebbe procurato solo ulteriori cazzi amari. A me
specialmente.

“… Pensavamo
dopo la cena dell’ufficio di andare in qualche locale, solo che prima dobbiamo
capire…” momento di silenzio imbarazzante “… Quali sono dei posti
decenti, prima di dirlo a tutti…”

La mia collega venne
in soccorso “Sì! Che già ognuno dirà la sua, prima sfoltiamo noi la
scelta, altrimenti non troveremo mai un accordo!”

Arianna, non senza una vena di dubbio, si complimentò per
l’idea.
Frittata.
Fatta.
Finita.

Mi lamentai con
Alessio dopo un rovente dopocena a casa mia.

“E ora quella
troia repressa verrà anche dopo cena!” imprecai, fissando il soffitto.
“Voglio dire, capace che quella ci sgrida perché ci baciamo in pubblico!”
risi.

Alessio con un
sorriso si portò la mano al corposo sesso “… Pensa cosa direbbe se ti
vedesse fare altro…” sorrisi ingolosita, cogliendo il suggerimento di un
ragazzone non mai sazio della mia bocca, e scivolai con il viso sulll’asta.

“Mmmh…
Probabilmente le farebbe bene una scopata…” commentai con un sorriso
dopo aver solleticato con la lingua il frenulo “… Non prendi il
soprannome di Herr Figa di Legno senza un motivo!” mi dedicai qualche
minuto a coccolare il sempre più turgido attrezzo, per poi venire colta da
un’idea folle.

“Ale!”
dissi staccandomi con uno schiocco delle labbra, senza smettere però di
masturbarlo con una mano “… E se facciamo sbronzare la troia e ci
divertissimo?”

Alessio si distrasse
dalla fellatio colto di sorpresa. “…Eh??”

Sorrisi. “La
stronza ha una cotta per te, l’ho capito benissimo. Secondo me approfittiamo
della cosa e la facciamo contenta… Dai, è una bella donna.”

Alessio non potè che
convenire. Al di là della stronzaggine, Arianna era abbastanza alta, un fisico
moderatamente formoso con una chioma castano rossiccia e degli occhi profondi,
grandi ma dal taglio obliquo abbastanza seducente. Il genere di bella donna che
può oscillare tra la porca matricolata e la totale frigida.

“Ce la lavoriamo
tutta sera, la facciamo bere, e magari finisce che questo bel cazzone”
diedi un bacio “ce lo lavoriamo in due.”

“… L’idea non
è male, ma poi a lavoro?”

“ Lo sai che a
Febbraio finisco di essere lì, contratto terminato… E poi non voglio più
starci” dissi con noncuranza, tornando a umettare a occhi socchiusi con la
punta della lingua tutta la corona del glande, come se fossi impegnata a
mangiarmi un gelato e chiacchierare con un amico.

“… Cazz… Ok,
ma come la facciamo bere? Io devo guidare di sicuro, e se bevo troppo non è che
funziona meglio…”

Mi staccai dal suo uccello con una finta aria scontrosa.

“… Ohi, kůzle,
con chi credi di avere a che fare? Io quella figa di legno la faccio ubriacare
sei volte nel tempo che a me viene un po’ di singhiozzo. Sarà a sbavare sul tuo
cazzo sbronza persa mentre io ordino ancora qualcosa al bancone.”

“Non te la
tirare…” sorrise lui.

“Non mi hai mai visto bere” ribattei
tornando ad occuparmi di una spanna abbondante di turgido e gustosissimo
pisello. “… A parte alcune cose…” soggiunsi con un sorriso, prima
di gettarmi a capofitto a dare piacere al mio lui.

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