di Rasak

[L’immagine di copertina è un’elaborazione dell’autore]

Ho 28 anni, sono impegnato nel servizio civile come segretario presso uno studio di commercialisti. Ci lavoro la sera, quando l’ufficio è chiuso al pubblico e lo staff, esclusa la direttrice, non c’è. È fine agosto, il lavoro reso possibile dalla presenza dei condizionatori d’aria, perennemente accesi. Da inizio mese sono stato affiancato da una ragazza, a cui sto insegnando il lavoro da segretaria. Martina, questo il suo nome, è la figlia di una amica della direttrice bocciata a scuola, che deve scontare la punizione, lavorando gratuitamente presso lo studio.

Fin dal primo giorno di lavoro la ragazza si era presentata vestita in modo piuttosto sbarazzino, con vestitini leggeri, molto corti e piuttosto scollati; e ai piedi dei semplici sandaletti senza tacco, che lasciavano scoperti dei piccoli piedini curatissimi con le unghie smaltate ogni giorno di un colore diverso. Martina è una ragazza molto carina e piuttosto minuta, alta all’incirca 1 metro e 60, magra, penso una terza piena e soda, visto che non l’ho mai vista indossare un reggiseno e un culetto talmente tondo che sembrava essere stato disegnato da Giotto in persona; messo in risalto ovviamente dalla presenza di tanga o perizoma, il cui contorno era sempre ben visibile sotto il leggero tessuto dei vestitini. Capelli lunghi, neri e lisci, occhi verdi, nasino all’insù, bocca piccola e molte lentiggini sugli zigomi.

Io non sono un modello, ma non posso essere definito neanche un cesso. E comunque sono un maschio e come tale, non ho mai disdegnato di lanciare qualche occhiata all’indirizzo della mia nuova “collega”. Tutte occhiate sempre intercettate dalla destinataria e puntualmente accolte da sorrisetti maliziosi.

Essendo comunque un ragazzo serio, ho sempre evitato di provarci spudoratamente e le uniche interazioni tra noi sono sempre state a livello professionale. Fino a ieri. Era il suo ultimo giorno come collaboratrice gratuita. Anche ieri indossava un vestitino leggero, a fiori; spalle scoperte, solco dei seni, forma e presenza dei capezzoli ben visibile, ma corto più del solito. Più del dovuto. Le arrivava giusto sotto il sedere. Ad ogni inclinazione del busto, da qualsiasi parte essa avveniva, ecco sempre spuntare un tanga nero. Non sapevo come comportarmi. Se le avessi detto cosa, sarebbe stato come ammettere di averla guardata. Non dire nulla, comportava continuare una tortura psicologica.

Dentro ai boxer, avevo il membro duro dall’eccitazione. E mi pareva, già bagnato da alcune gocce di liquido pre-spermatico. Non riuscivo a concentrarmi su quello che stavo facendo. Le mani sulla tastiera battevano tasti a caso e il mio sguardo saltava dal monitor al corpo di Martina con una velocità tale che, probabilmente, mi si sarebbero incrociati gli occhi da un momento all’altro.

Mancava un’ora alla fine del turno. Oramai avevo una mano sul mouse, facendo finta di fare qualcosa, e una mano sul cazzo. Massaggiandomelo da sopra i pantaloni. Ovviamente il tutto nascosto dalla scrivania a cui sedevo. Martina si alza e va in bagno. Finalmente un po’ di relax per testa e membro. Passano 5 minuti, poi dieci e della ragazza nessuna traccia. Al che, un po’ infastidito per dovermi alzare e un po’ incuriosito, raggiungo i bagni del personale. Sto per mettere mano al pomello della porta, ma mi blocco. Sento dei rumori inequivocabili provenire dall’interno.

Spingo leggermente la porta, che si apre silenziosamente verso l’interno e lo spettacolo che mi si para dinanzi mi lascia di stucco. Letteralmente. Sul lato opposto all’ingresso, Martina è seduta sul ripiano dove sono incassati i lavelli. Occhi chiusi. Spalle appoggiate agli specchi a parete, le gambe aperte e piegate verso il busto, il culo sul bordo del marmo bianco, il vestitino arrotolato in vita e il tanga scostato di lato. La sua mano sinistra stringe il seno corrispondente, mentre il dito medio e l’anulare della mano destra, sfregano incessantemente la clitoride.

Senza rendermene conto avanzo di qualche passo, lasciando che la porta si richiuda silenziosamente alle mie spalle. Le mie mani abbassano la cerniera ed estraggono il mio cazzo, di nuovo duro, che viene avvolto dalla destra. Mi sto segando guardando la figlia di una amica del mio capo che si sta masturbando e, dalla sua espressione e da i gemiti che si lascia sfuggire, sta godendo alla grande. Guardo la sua vagina. Tutta depilata, bagnatissima e aperta come se stesse aspettando qualcosa che la proprietaria non puo’ fornirle.

Non so cosa mi prende. Non ragiono più con la testa attaccata al collo, ma solo con quella tra le mie gambe. Mi avvicino silenziosamente a lei, fermandomi solo quando la punta del mio cazzo è a qualche centimetro dalla sua vagina. Quasi trattengo il fiato. È un attimo. La mano destra indirizza il mio membro verso l’ingresso della sua patatina e con un colpo di reni la penetro. Fino in fondo. Portando poi le mani ad afferrarla per i fianchi. Nello stesso momento in cui lei sgrana gli occhi e urla per la sorpresa, accennando il movimento di ritrarsi. Porta le sue mani sul mio petto, cercando di respingermi. Inutilmente.

Ormai il dado è tratto. Non ragiono più. La tengo stretta e la penetro con colpi veloci, guardandola negli occhi. Lei ansima, forse le sta piacendo, forse no. Al momento non mi interessa. Sento il cazzo avvolto dal suo antro caldo, stretto e bagnato. I nostri corpi cozzano ad ogni mio affondo. Sono talmente eccitato e in astinenza che non durero’ a lungo. Le pulsazioni del mio cazzo dentro di lei glielo fanno capire. La pressione delle sue mani sul mio petto si fa più forte, ma non mi stacco. Mi limito a spostare le mie mani dai suoi fianchi al suo seno. Lo artiglio e lo palpo forte, pizzicando e tirando i piccoli capezzoli. Aumentando per quanto possibile il ritmo della scopata.

E poi il culmine del piacere. Le strizzo i seni, lasciandole dei segni rossi sulla pelle e facendole sfuggire dei lamenti di dolore. Scarico il mio seme dentro di lei, grugnendo come un maiale. Una, due, tre, quattro spinte ancora e mi fermo. La guardo e sorrido. Mi chino sul suo corpo e le stampo un bacio sulle labbra, prima di staccarmi da lei e usare uno dei lavelli per lavarmi l’inguine. Martina scende dal ripiano, si risistema il vestito e scappa via senza dire una parola. Mi sistemo anch’io senza fretta e torno alla mia postazione. Lei non c’è.

Sistemo i documenti, spengo il pc e mi avvicino all’ufficio della direttrice per salutarla e annunciarle che sto andando via. Non faccio più di qualche passo che la vedo venirmi incontro affiancata dalla ragazza. Mi congelo. Loro mi superano e mi salutano come se niente fosse. Sull’uscio, poco prima di varcarlo, Martina si volta, mi guarda e mi sorride, poi esce.

[FINE]

 

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