Capitolo [part not set] di 2 del racconto Seaside: Alessandra

di Carol89

Secondo (e per ora conclusivo) capitolo del racconto.

Questo contenuto è riservato a un pubblico adulto. Proseguendo nella lettura dichiari di avere almeno 18 anni.

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Più tardi Alessandra tornò a stendersi sulla tuga, in costume, a prendere il sole, e Giulio non la disturbò oltre. Il sole calò lentamente, la giornata era placida e tranquilla; Giulio si dedicò ad alcuni lavoretti che mai mancavano su una barca di quell’età, tenuta da lui peraltro piuttosto bene.

Quando il sole iniziò a lambire l’orizzonte, il meteo prese una piega diversa. Cominciò a levarsi una brezza da sud, fin dall’inizio piuttosto tesa, che presto sollevò i primi spruzzi bianchi sulle onde. La barca aveva ruotato intorno all’ancora e si era orientata al nuovo vento, e già dondolava piuttosto sensibilmente.
Giulio lesse meglio che poteva i segnali meteorologici, e capì che si sarebbe levato del vento fresco. La loro posizione nella baia non li riparava dal vento proveniente da quella direzione: dovevano spostarsi, se volevano rimanere lì per la notte.

Con una certa titubanza, decise di avvertire la figlia, pur temendo di disturbarla e ricevere una sua reazione stizzita. Salì sulla tuga, dove la ragazza, prona, con occhiali da sole e cuffie, sembrava dormire. Indossava entrambi i pezzi del bikini bianco.
Ancora una volta Alessandra si risvegliò da sola al suo semplice avvicinarsi.
– Alessandra… si sta alzando del vento, dobbiamo spostarci in fondo alla baia, così saremo riparati.
La ragazzina annuì e scrollò le spalle. L’uomo proseguì la spiegazione, cercando di essere più chiaro possibile:
– Ora devo salpare l’ancora… ho bisogno che mi aiuti tu, perché c’è vento, bisogna stare attenti altrimenti rischiamo di spaccare qualcosa.
La giovane biondina si alzò a sedere e tolse pazientemente occhiali e cuffie. Senza entusiasmo, chiese:
– Cosa devo fare?
– Dovresti stare a prua e tirare su l’ancora con il verricello mentre io avanzo… ti darò io il comando quando farlo…
– Ok.
Alessandra posò la sua roba sulla tuga e fece per avviarsi a prua, in costume com’era. Giulio le disse:
– Faresti meglio a metterti delle scarpe, magari…
Scocciata, la ragazzina rispose di fretta: – Senti sono già qui, dai! – e andò al verricello di prua.
Rassegnato, Giulio tornò a poppa, al timone.

Quando l’uomo ebbe acceso il motore e cominciato a dare gas, mentre la barca avanzava contro le onde che si stavano facendo sempre più alte (il vento soffiava ora teso e piuttosto freddo), urlò verso prua alla figlia di cominciare a recuperare la catena.
– Gira… gira il verricello!
Alessandra capì e, dapprima solo accovacciandosi, afferrò con due mani il verricello e si mise a girarlo con forza. Era duro, e presto dovette inginocchiarsi per fare meglio leva. I muscoli snelli ma sodi delle sue braccia e del torso si tesero visibilmente mentre, ansimando, riavvolgeva centimetro per centimetro la catena.

Si curvò ancor più sul verricello, puntando piedi e ginocchia, sforzando i muscoli di tutto l’esile corpo, ma la catena saliva lentamente e a fatica, mentre la barca beccheggiava ora violentemente, e la prua si schiantava contro onde ormai alte. Le arrivarono addosso degli spruzzi, provò freddo: la pelle le si intirizzì e lei ansimava già per lo sforzo.
Giulio le urlò qualcosa, ma non riuscì a sentirlo. La prua della barca ora saltava in alto e in basso e lei barcollava. L’ancora doveva ormai essere vicina, ma la fatica cominciava a prendere il sopravvento.

Un’ulteriore caduta contro un’onda la prese alla sprovvista e la sbalzò violentemente indietro. Cadde su un gluteo e su un fianco, sentì dolore e il freddo di qualcosa di metallico che la toccava. Gemette, temette di cadere ancor più lontano, si lanciò in avanti e tornò ad aggrapparsi al verricello. Non capiva se suo padre le stava urlando qualcosa, d’istinto forzò ancora sul verricello per recuperare altra catena, e a quel punto vide l’ancora appesa a pochi metri dalla prua, fuori dall’acqua: gli sbalzi della prua tra le onde le stavano facendo prendere velocità, roteandola in aria come un’arma di pesante metallo. Ebbe paura.
L’ancora volò in semicerchio e cadde nella sua direzione, rimbalzando contro le draglie metalliche che così, all’ultimo istante, la protessero e la salvarono dall’impatto. Alessandra cadde all’indietro con un urlo. La catena sferragliava, l’ancora riprese a dondolare in aria, la barca sbandava e la sbalzava in aria. Rotolò suo malgrado sulla fiancata opposta, andando a sbattere contro le draglie, alle quali si aggrappò spasmodicamente, graffiandosi un braccio. Quando si voltò, mentre la prua di nuovo cadeva fra le onde, vide l’ancora sollevata in aria, che questa volta scavalcava le draglie e si precipitava proprio addosso a lei. Lanciò un urlo.

Il pesante attrezzo appuntito e ferroso cadde pochi centimetri al suo fianco, contro un candeliere, che si piegò. Rimbalzò sulla coperta in teak con un rumore sordo, e scivolò via con un lungo stridio. Alessandra scoppiò a piangere.
Subito un’altra onda sollevò la prua, lei venne strattonata e cadde indietro, rotolò, si aggrappò a delle sartie con una mano. In quel momento scorse le scarpe e poi le gambe di suo papà, che da sopra la tuga le correva incontro. Alessandra lasciò la presa che aveva e si allungò ad afferrargli una gamba, con un gemito disperato. L’uomo si chinò e la prese per le spalle.
– Papà!!… – lo chiamò piangendo, con un urlo. Lui la sollevò di peso e la trascinò verso poppa, e in pochi secondi era in pozzetto.

– Aggrappati qui, resta seduta! – le disse lui, e sparì rapidamente verso prua. Alessandra scoppiò in singhiozzi vedendolo andare, e quando poco dopo tornò indietro, tra il rumore del vento e delle onde urlò:
– Non andare via! Ti prego!
– Sono qui Alessandra – urlò lui di rimando, mettendosi al timone e dando gas al motore, – non preoccuparti, va tutto bene! Ora ci mettiamo al riparo.
La barca danzò sulle onde, mentre la ragazzina si aggrappava ad un tientibene, rannicchiata contro la tuga. Ci vollero solo cinque minuti perché le acque cominciassero a calmarsi, e dopo altri cinque erano al riparo dalle onde e il vento era poco più che un ricordo, divenuto una brezza tra i capelli.
Giulio raggiunse rapidamente la posizione che già aveva individuato. Con una manovra ben fatta arrestò la barca e corse a dar fondo all’ancora. Alessandra lo seguì con lo sguardo come per accertarsi che non se ne andasse.

Quando la barca fu ormeggiata e lui tornò in pozzetto a spegnere il motore, lei gli saltò addosso, gli si aggrappò al collo costringendolo a sedere e scoppiò in singhiozzi, scaricando tutta la paura subita.
– Calma, calma piccola… va tutto bene…
– Io… io non sapevo… cosa fare!! Non… non sapevo…
 Pianse ancora, di un pianto nervoso e isterico. Il padre l’abbracciò e le accarezzò la testa.

Rendendosi conto che la ragazza era ancora in costume, le disse di seguirlo e l’accompagnò in cabina, fino al divanetto in dinette. Qui sedettero di nuovo e lei gli premette la testa sul petto, di nuovo piangendo, scossa da alcuni singhiozzi.
– Io non… non sapevo cosa dovevo fare! Avevo paura!…
– Lo so, va bene, va tutto bene adesso… siamo al sicuro…
Abbracciandola sentì la sua pelle nuda bagnata dagli spruzzi. Guardò verso il basso: si accorse solo allora che il costume, gli slip, le si era strappato su una natica, probabilmente cadendo; era per metà lacerato, il gluteo sinistro era scoperto e solo un brandello di tessuto elastico resisteva in vita.
Giulio guardò fuori e accennò ad alzarsi:
– Alessandra, ora vado a chiudere il…
– No! – scattò lei, – No! Non andare via! Ti prego! Ti prego!
L’uomo si arrestò sorpreso, con la ragazzina appesa al collo che lo fissava implorante. Risedette.
– No, va bene.. sto qui…
Lei per tutta risposta gli si fece ancora più addosso, scivolando su di lui con gambe e fianchi, in braccio. L’uomo udì chiaramente un debole schiocco, e vide l’ultimo pezzo d’elastico degli slip lacerato, e il brandello di costume che scivolava via ormai distrutto.

L’abbracciò ancora.
– Calmati, va tutto bene adesso… davvero…
Lei non disse nulla, si limitò a piangere ancora in silenzio, singhiozzando di tanto in tanto. D’un tratto lo guardò:
– Mi prometti che non vai via? Resti qui con me!?
– Ma certo… sto qui.. – Tenendola abbracciata, dopo averci pensato un momento, aggiunse: – Alessandra, guarda che il costume… ti si è rotto…
La ragazza non diede segni di aver sentito. L’uomo insistette:
– Gli slip…
Alessandra allora girò la testa a guardare, a guardarsi, e per tutta risposta sollevò le ginocchia a rannicchiarsi ancor più in braccio a lui, senza lasciargli il collo, in posizione quasi fetale.
– Mi abbracci?…
– …Certo… certo…
L’uomo la cinse ancor più con le braccia, lei gli si rannicchiò addosso, lui le cinse la schiena all’altezza dei reni e poi, accarezzandola per tranquillizzarla, scese fino su una natica. Alessandra gli si fece ancor più addosso, e lui si trovò a tenerla per una natica e per le gambe.

Aveva smesso di singhiozzare. Tirò su col naso un paio di volte. Giulio, affettuosamente, le si rivolse:
– Piccola… vuoi che ti metta in cuccetta un pochino, mentre sistemo le ultime cose?
Lei lo guardò: – Non vai via?
– No, no, promesso. Salgo solo un momento in coperta a fissare il timone e poi stiamo qui dentro.
Dopo un attimo, la ragazzina annuì silenziosamente. Giulio allora, afferrandola per le gambe e la schiena, si alzò, sollevandola con lui, in braccio. Si diresse alla cuccetta che c’era lì accanto e ve la portò.

Mentre la portava la percepì piccola e leggera tra le proprie braccia, sebbene dovesse in realtà fare un certo sforzo per spostarla così. L’adagiò sulla cuccetta, Alessandra si rannicchiò su un fianco: lui le vide la delicata schiena nuda, e il sedere, sferico, liscio e sodo, altrettanto nudo, come le gambe affusolate. Sfilò il lenzuolo e la coprì fino al collo. Le diede ancora una carezza, quindi salì a sistemare definitivamente l’ormeggio.
Quando tornò sottocoperta, Alessandra dormiva.

Giulio cenò, e lasciò che la figlia dormisse. Dopo cena lesse un poco, tornò a controllare che l’ormeggio fosse a posto, quindi, poco dopo il tramonto, si infilò a poppa nella propria cuccetta, quella armatoriale, e si coricò a sua volta.

Giulio stava lavorando in pozzetto, pulendo alcuni bozzelli, quando Alessandra si alzò il mattino dopo. Erano circa le nove, il sole era già alto e caldo.
La ragazzina uscì da sottocoperta indossando già un costume bianco, un due pezzi, che a Giulio parve identico a quello della sera prima. Aveva i capelli biondo scuri raccolti in una coda, indossava gli occhiali da sole neri e le cuffie del lettore musicale.
Non si soffermò in pozzetto; passando, salutò l’uomo con un “ciao” atono, e salì direttamente sulla tuga. Sistemò un cuscino che aveva portato con sé e vi si sdraiò sopra, a prendere il sole.

Il padre non la disturbò per circa un’ora, durante la quale proseguì i lavori per conto suo. Passate le undici, finalmente si decise a raggiungere la figlia sulla tuga.
Alessandra era prona, con il reggiseno slacciato. Lui le toccò gentilmente una spalla liscia e lei alzò la testa a guardarlo, da dietro i grossi occhiali neri.
– Comincia a far caldo!… Cosa ne dici di fare un bagno?
– No, io no, grazie. – La sua risposta non ammetteva repliche.
– Va bene… io faccio un tuffo!
Andò a poppa da solo e si calò in acqua. Non rimase a mollo a lungo.
Pochi minuti dopo, quando tornò vicino alla tuga, teneva il proprio costume in mano. Lo stese sulle draglie, non lontano da Alessandra, e intanto parlò ad alta voce:
– Aah, freschissima! Una meraviglia!
Stesolo, si voltò verso la ragazzina, in piedi, nudo. Lei aveva il viso rivolto verso di lui, ma gli occhiali non permettevano di capire se dormisse o fosse sveglia.
Eppure dopo un istante disse:
– Fredda?
L’uomo si portò le mani sui fianchi, guardando l’orizzonte, senza guardare nulla di particolare. – Fresca, – rispose. – Molto bella.
– Mm, dopo lo farò anch’io.
Alessandra rotolò su sé stessa, girandosi supina, e sollevò le braccia stendendole sopra il capo. Il reggiseno del costume, slacciato, rimase sulla tuga, e i suoi piccoli seni nudi e pallidi si stirarono alla luce del sole, tremolando leggermente.
Giulio li fissò, poi distolse lo sguardo. Poi li fissò di nuovo altre volte. Sentì il proprio pene indurirsi e per tutta risposta sedette sulla tuga accanto a lei, nascondendosi così l’inguine tra le cosce.

– Come stai?… Va meglio?
Alessandra lo guardò interrogativamente: – Cosa?
– Così, ti è passato… lo spavento di ieri sera?
– Sì – rispose lei, sbrigativamente.
– Bene… – Giulio cambiò tono, e allegramente aggiunse: – Vado a preparare qualcosa per pranzo, ti va?
– Ok.
Si alzò e se ne andò.

Alcuni minuti più tardi l’uomo aprì il tavolino in pozzetto e cominciò ad apparecchiare con lo stretto necessario per un pranzo leggero.
Alessandra si alzò. Pigramente tornò verso poppa, portando il cuscino con sé. Scese in pozzetto a due passi da Giulio, che si girò a guardarla e la trovò ancora in slip di costume, senza pezzo sopra. Le piccole, ma sode, tette nude dondolavano ancora sul petto.
Anche lui era nudo. Era rimasto così da dopo il bagno.
Il pene non era rigido, ma era comunque parzialmente gonfio, e dondolava oblungo tra le sue cosce, proprio sopra ai testicoli.
Alessandra parve non farci caso.
– Posso fare una doccia, invece del bagno? – chiese.
– Sì… certo; una doccia dentro?
– No, qui fuori.

La ragazzina andò direttamente a poppa, si issò a bordo barca e recuperò la doccia. L’uomo, mentre apparecchiava senza fretta, la osservò con la coda dell’occhio aprire l’acqua e sciacquarsi dalla testa, ad occhi chiusi e bocca aperta.
Alessandra si bagnò con cura tutto il corpo, accarezzandosi con l’altra mano. Arrivata agli slip, li calò leggermente e li allargò per indirizzare il getto dentro. Mentre continuava a lavarsi, Giulio notò che ora erano abbassati e leggermente fuori posto: era girata verso di lui e l’uomo non poté non vedere un poco di pelo pubico che rimaneva scoperto.

La ragazzina non se li sistemò tornando in pozzetto. Quando scese nuovamente di fronte a lui, una rapida occhiata gli permise di vedere almeno un terzo (valutò lui stesso) della striscia verticale di peli ruvidi, castano chiari, che le coprivano l’inguine. Sbucava da sopra il bordo degli slip, e dal fianco sinistro, perché erano leggermente girati verso destra. Vedeva, inoltre, il segno più chiaro lasciato sulla pelle dai piccoli slip.
– …Rinfrescata? – sorrise, cercando di mostrarsi a suo agio. La figlia annuì.
– Vado dentro ad asciugarmi.
A lui sarebbe venuto istintivo dirle di non entrare bagnata, per non bagnare in giro; ma non riuscì a dir niente e, in silenzio, la guardò scendere le scalette.
La seguì un attimo dopo, con la buona scusa che doveva prendere le ultime cose per la tavola.

Quando fu in cabina, vide che lei era andata verso prua, all’ingresso della propria cabina. Qui, fermatasi, si chinò a sfilarsi di dosso gli slip. Era nuovamente nuda, completamente nuda, voltata di spalle.
Mentre Giulio non si decideva a fare una qualunque cosa, le giovane bionda lanciò gli slip nella propria cabina, quindi si voltò e tornò verso di lui.
Questa volta la vide interamente nuda davanti a sé: le vide l’inguine nudo, la striscia di pelo ruvido e chiaro, il bacino, il ventre, e i seni che dondolavano.
Lei gli sfilò accanto con una certa cautela, mormorando rapidamente “scusa”, e aprì la porta del bagno accanto a lui per recuperare un asciugamano.
Giulio si rese conto di essere ingiustificatamente immobile. Si girò verso la cucina e recuperò qualcosa, piuttosto alla cieca. Senti il pene premergli contro lo stipite di legno verniciato.
– Porto su qualcosa?
Alessandra era voltata verso di lui, sempre nuda, si stava asciugando senza particolare impegno.
– No – rispose d’istinto, poi ci ripensò e aggiunse: – …sì… sì, magari… la frutta…

Giulio si voltò a prendere il bacile con la frutta fresca e lei gli si avvicinò per riceverlo. Quando l’uomo si voltò di nuovo, se la trovò di fronte, a pochi centimetri dal suo corpo. Non seppe dire se fece un altro mezzo passo verso di lei, involontariamente; o se invece erano già così vicini. Ma sentì che la toccava… la toccava con la parte di lui che in quel momento sporgeva maggiormente: la punta del pene.
Rimase per qualche istante immobile, tenendo la frutta sul piano della cucina, con una mano. Si mosse impercettibilmente, sentendo sul pene una superficie liscia. Capì che era una coscia, quasi all’altezza dell’anca.
Alessandra, senza un tono particolare, chiese:
– La porto io?
– Come vuoi…
Sentì che il proprio pene ora le sfiorava i peli, i peli dell’inguine. Capì che lo stava spostando.
– Oppure… puoi portare su i piatti… – Non sapeva dire da dove gli venissero le parole, in quel momento. Non le stava pensando.
Alessandra rimaneva immobile, l’asciugamano in una mano. L’uomo si mosse di qualche centimetro, con il corpo, verso di lei, questa volta rendendosene conto. Sentì il pene, ormai duro, premere contro i peli dell’inguine della ragazzina.

Lei reagì impassibilmente. Prese la decisione senza esitare.
– Porto i piatti, – disse. Si sporse in avanti, e gli fu praticamente addosso con tutto il corpo.
Giulio sentì il pene premere conto il pube, e poi piegarsi di lato, mentre il pube della ragazzina si schiacciava contro il suo inguine. Sentì la punta dei suoi seni toccargli il petto, e poi i seni stessi, nudi, premersi contro di lui. Alessandra si era sporta oltre il suo braccio, a prendere i piatti di plastica usa e getta che erano alle sue spalle.
Rimase appoggiata a lui in quel modo mentre, presili, li contava, togliendo quelli in eccesso. Ci vollero solo due secondi, ma a lui sembrarono un’eternità. Il pene duro pulsava contro il corpo di lei, sentiva i suoi peli sul proprio inguine, l’inguine di lei che premeva contro i propri testicoli. Prima che la ragazzina si spostasse, l’uomo l’abbracciò.

La strinse ulteriormente a sé. Alessandra si bloccò, senza dire una parola.
Dopo qualche istante, fu lui a parlare, con voce malferma:
– Mi… mi dispiace per ieri… che ti sei spaventata…
Alessandra non disse niente. Lui le passò una mano lentamente sulla schiena liscia. Con l’altra scese più in basso.
– Sono cose che capitano… in barca… può essere pericolosa…
La sua mano era scesa sul sedere della ragazzina. Le toccò un gluteo nudo, sodo, liscissimo. Poi lo afferrò davvero.
Giulio cominciò a muovere il bacino. Il suo pene si sfregò contro il corpo della ragazza: una, due, tre volte. Alessandra ebbe allora una reazione, ed indietreggiò leggermente con il corpo.
Per tutta risposta, l’uomo piegò le ginocchia, allontanò il bacino e subito premette la punta del pene, che si era rizzato, direttamente contro il suo inguine. L’abbracciò più stretta.

Il glande dell’uomo scivolò tra i peli, tornò indietro, poi parve trovare la propria strada. Si appoggiò tra le labbra carnose della ragazzina.
Alessandra gemette, un gemito appena percepibile. Tentò ancora di farsi indietro, ma l’uomo strinse la presa.
– Ale… Alessandra…
Il pene era dritto e duro come legno. Lui lo premette con forza, ed esso si fece strada fra le labbra, infilandosi nelle piccole e umide. Si incuneò nella vulva.

– Mh… – Alessandra spinse con i gomiti ed allontanò il busto da quello del padre. In questo modo, senza volerlo, gli facilitò l’ingresso. Il pene avanzò ancora, infilando la sua vulva.
– Al… ferm… ferma… ferma… – L’uomo sembrò trattenere il respiro. Le cinse la vita con le braccia, mentre la ragazzina spingeva le spalle indietro. Le vide il busto inarcato, i seni nudi che oscillavano sul petto.
Con un colpo di reni, la penetrò.
Alessandra emise un lamento forte, quasi un urlo. Le sue cosce si divaricarono, tese, ed un piede si sollevò da terra. L’uomo la sorresse. E diede un altro colpo.
Si spostarono entrambi, quasi cadendo, fino ad arrivare contro la scaletta che portava in coperta. La ragazzina vi batté la schiena, e si aggrappò agli scalini. L’uomo la premette contro, e la penetrò ancora.

Alessandra emise un lamento più lungo e chiuse gli occhi. Senza guardare allungò una mano e gliela premette sul petto, alla cieca. Mugolò, a denti stretti.
L’uomo sentiva, ma non pensava. La penetrò ancora, e ancora. Prese il ritmo, e la sbatté letteralmente, premendola contro la scaletta. Il corpo di Alessandra sobbalzava ad ogni colpo, le tette dondolavano.

Giulio era muto, sudato, rosso in volto. Ansimava con delle specie di muggiti soffocati. Alessandra, per contro, prese a lamentarsi con un lungo, ininterrotto lamento, simile ad un miagolio. Si inarcò ancora di più, rivoltando il capo all’indietro, aggrappandosi alla scaletta, Ebbe un brivido violentissimo, poi due, poi tre. Poi venne.
Le contrazioni della sua vulva fecero venire immediatamente anche il padre. Tendendo spasmodicamente i muscoli, le eiaculò copiosamente nel ventre, per diversi secondi; per poi sfilarsi e, lentamente, accasciarsi indietro a terra, mentre fili di sperma scendevano dalla punta bagnata del suo pene, e dalla vagina semiaperta della figlia.

Alessandra scivolò a terra anche lei, sussultando. Si portò una mano tra le cosce, a coprirsi la vagina, madida di sperma che seminava a terra.
Guardò il padre che, seduto a terra, stremato, aveva ancora il pene rigido che colava sperma. Non incrociò il suo sguardo. Con un ultimo lamento, si alzò in piedi e uscì precipitosamente dalla barca.

Alessandra andò a poppa. Si fermò sul bordo della barca per alcuni secondi, lo sguardo fisso sull’acqua cristallina. Vi si calò. Si lavò abbondantemente. Si sfregò la vagina con una mano, per ripulirla.
Quindi uscì dall’acqua, recuperò un asciugamano steso e si asciugò, in fretta. Poi si diresse a recuperare il proprio costume.
Se lo mise, e rallentò. Andò a prua, si lasciò cadere seduta sulla coperta, e fissò il mare.

Giulio si riprese più lentamente, alzandosi in piedi ancora malfermo. Si portò una mano all’inguine, al pene umido e svuotato. Barcollò fino al bagno e se lo lavò nel lavandino.
Piano piano riprese consapevolezza. Per alcuni minuti rimase del tutto immobile, in silenzio.
Prima di uscire dal bagno si coprì con un asciugamano, quindi andò dritto in camera e si vestì con dei calzoncini di costume.
Passò un’ora prima che trovasse il coraggio di salire in coperta.

Quando fu in pozzetto e si voltò a guardare, vide che Alessandra era tornata sulla tuga. Era stesa prona, indossava il costume, entrambi i pezzi, gli occhiali da sole e l’ipod. Prendeva il sole e dormiva. Sembrava che non fosse cambiato nulla rispetto a poche ore prima.

L’uomo ritirò il pranzo, l’unica cosa che trovò da fare. Mangiò qualcosa, senza nemmeno rendersene conto.
Mentre stava piegando il tavolino, ultimo atto dell’operazione, Alessandra sollevò il capo e gli disse:
– Stasera torniamo in porto?
Più che una domanda, era una richiesta. Automaticamente Giulio rispose:
– Certo.
Non sapeva immaginare che cosa dovesse aspettarsi, quella sera e nel futuro a seguire. Rabbrividì.

Svolse da solo tutte le operazioni. Per salpare l’ancora, camminò avanti e indietro accanto alla ragazza, che non accennò a muoversi. Poi condusse la barca sul mare tranquillo, mentre il sole si abbassava sull’orizzonte. Alle sette di sera entrarono in porto.

Quando si trattò di ormeggiare al loro solito posto barca, Alessandra si rizzò a sedere, appoggiata alle mani. Non alzò un dito per aiutarlo, e lui compì tutta la manovra da solo. L’equipaggio di una barca vicina notò la cosa, e la commentò ironicamente a bassa voce.

Non appena furono ormeggiati, la ragazza si alzò e camminò decisa verso poppa. Per un attimo, Giulio immaginò che scendesse a terra e se ne andasse.
Invece Alessandra si diresse sottocoperta, e sparì per alcuni minuti.
Riemerse un poco più tardi, quando l’uomo aveva finito di sistemare gli ormeggi e coprire il timone. Si era cambiata: indossava di nuovo il costume due pezzi nero, che aveva anche il primo giorno.
Le risaltava l’abbronzatura, notò l’uomo automaticamente.

[Continua…?]

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